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CIMA DELLA BONDASCA (O PIZZO DEL FERRO CENTRALE) – VAL BREGAGLIA

sabato 28 marzo ‘15


Non guardare l’altimetro! Meglio non pensare alla vetta, così vicina ma contemporaneamente lontana. Soffermati sul prossimo cambio di direzione e vai. I legni si muovono, riprendono a scivolare verso l’alto, lo stesso movimento che si ripete oramai da alcune ore e da diverse centinaia di metri. Quanti? Non saprei, meglio restare all’oscuro, voglio restare col dubbio! Lo sguardo spazia in questo ambiente da favola; gli occhi roteano senza sapere dove posarsi: ogni picco, ogni anfratto e cresta sono una scultura della natura, un sogno, una possibile meta. Poi ci sono le pareti: alte, oscure minacciose, incredibilmente e pericolosamente accattivanti, intriganti. Il ginocchio si flette, il piede si alza: su, giù; su giù. È un movimento infinito. Per quanto ancora? 200, forse 150 metri. Un dislivello ridicolo, insignificante ma a questo punto mi sembra di dover affrontare le colonne d’Ercole! Il vento soffia disperatamente; sembrava aver concesso una lunga tregua, come se avesse esaurito tutta la sua forza e invece quassù ha ripreso vigore. Il suo impeto è devastante mentre alza sbuffi di neve che ricadono come piccoli granelli. La cresta in alto è un turbine in continua agitazione. Mi fermo, l’ultima sosta prima del deposito degli sci, gli ultimi metri ben impressi nella mia mente dopo che li avevo lungamente studiati dall’alto durante il mio girovagare di fine ottobre. Infilo piumino e guanti e poi parto, la prossima sosta dove lascerò gli sci. La cima resta un oggetto misterioso: chi mi ha preceduto e ho incrociato quando era già impegnato in discesa, mi ha informato di non essere riuscito a calcarne il massimo punto perchè gli ultimi metri sono intasati di ghiaccio. La osservo dal basso: poche roccette apparentemente facili sul pieno versante nord sembrano l’unica e ultima strenua difesa. Lascio gli sci; seguo la traccia sulla breve cresta mentre Eolo tenta di scaraventarmi ora in Italia ora sul versante svizzero. Ma io sono più forte o forse in lui iniziano i primi sintomi di debolezza. Raggiungo il masso oltre il quale le tracce terminano; la placca a destra coperta di neve gelata. L’unica possibilità è traversare verso sinistra; parto. Non è nulla di difficile: gli scarponi affondano e il manto soffice li accoglie benevolo. Pochi metri e sono alle facili roccette. Servirà pure a qualcosa scalare in falesia? Metto alla prova il mio livello di FF su questi pochi metri che non raggiungeranno nemmeno il II grado e poi mi trovo sul punto più alto, la gamba incastrata tra le due pietre sommitali per non rischiare di venire spazzato via. Dopo pochi mesi ritrovo l’altro Fraclimb, quello che era salito da sud: la stessa cima, ma due nomi diversi. Dall’Italia pizzo del Ferro centrale, dalla Svizzera cima della Bondasca. Il vento soffia, come se volesse liberare la montagna dal mio peso; fa freddo, ho i geloni alle mani. Aspetto il Ricky, impegnato poco più sotto con gli sci e mi godo la mia solitudine in uno degli angoli più affascinanti delle Alpi centrali.

E pensare che poco più di 5 ore prima mi trovavo 2400 metri più in basso, lo zaino leggero con l’equipaggiamento ridotto al minimo e gli sci in spalla. In auto rimangono picca e ramponi e, per alleggerirmi ulteriormente, anche la custodia delle pelli e degli occhiali! In compenso, terrorizzato da una possibile crisi di fame, mi porto sulle spalle più di quanto effettivamente ingurgiterò insieme all’insolita bottiglietta di Coca e, soprattutto, un formidabile e dolcissimo tubetto di latte condensato, probabilmente la chiave di volta per la riuscita dell’impresa.

Fin quasi al Laret, i legni ciondolano sullo zaino, circostanza che in parte allevia la lunga salita e mi permette di seguire la scia della coppia di testa, poi appena la neve garantisce una copertura sufficiente, i due là davanti inseriscono il turbo e io li vedrò solo poco sotto la cima, già impegnati a scivolare veloci verso valle. Praticamente io e il Ricky facciamo la salita insieme, in parte in stile elastico ma, sostanzialmente, sempre in vista uno dell’altro mentre l’inaspettata presenza di diversi altri scialpinisti rappresenta un picco nella densità popolativa dell’area. Non provo sensi d’inferiorità sebbene dal basso vedo salire e raggiungermi altri pretendenti alla cima mentre non riesco a tenere il ritmo (e nemmeno ci provo) di chi mi sta davanti. La mia piccola rivincita sarà lassù in cima dove forse sarò il primo a mettere piede almeno dall’ultima perturbazione mentre i vari “tutina” si fermeranno uno sputo di metri più sotto; la vittoria di Pirro! Per il resto che dire? Sono in paradiso e la classica ciliegina sulla torta non può che essere un’altra discesa da incorniciare anche se forse gran parte del piacere si è fermato a quasi 3300 metri di quota!


Cavallo Goloso


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