VONBANK – PICCOLO LAGAZUOI
sabato 17, domenica 18 giugno ‘17
A volte mi domando quale sia la molla che mi spinge a raccontare delle mie scorribande per i monti. Poi penso alla mia memoria di gallina e tutto mi diventa un po’ più chiaro: se un domani dovessi guardarmi indietro domandandomi di una salita, potrei spulciare questa sequenza di bit e rispondere ai ricordi appiccicati con la Prit. La riprova di quanto sia fitta la nebbia calata sul mio passato ce l’ho proprio alla vigilia dell’ennesimo week end caiano quando, con il corso d’alpinismo, andiamo al passo Falzarego. So solo che la località si trova in Crolloniti (perchè così dice il programma) ma, per il resto, navigo completamente nel buio tanto che su Google digito “arrampicata al passo Falzarego” sperando di trovare qualche minima informazione. In effetti la vaga indicazione è più che sufficiente per trovare una valanga di notizie e casualmente fare un po’ di luce nella notte del passato: sfogliando infatti le pagine della rete, mi accorgo che qualche anno fa avevo già messo piede da queste parti salendo parte della Maurizio Speciale.
Sabato, dopo aver attraversato metà nord Italia, ci ritroviamo quindi al Falzarego con una puntualità da far venire invidia alle ferrovie elvetiche peccato solo che parte della comitiva sia rimasta bloccata in val Gardena causa chiusura del passo! Così con un piccolo gruppo di superstiti, ci dirigiamo verso la vicina Vonbank, già presa d’assalto da una cordata che ben presto esaurisce la magra dose di pazienza causa una lenta risalita in una direzione che, ben presto, ci pare opposta a quella corretta. Non aspetto quindi oltre e mollo gli ormeggi su per la parete lungo il percorso corretto relegando così la coppia a spettatrice delle nostre chiappe e a sorbirsi le lungaggini di 4 cordate di un corso caiano. Fortunatamente questa volta mi è andata bene: la coppia di allievi sale senza problemi e così rapidamente raggiungiamo il punto in cui è possibile svicolare dalle difficoltà e uscire più velocemente dalla parete. È però ovvio che non potrò abbandonare la nave che veleggia col vento in poppa e così ci stacchiamo dal resto del gruppo per dirigerci verso la placca fessurata che costituisce il tratto più impegnativo della salita. Quando poi sbuchiamo oltre il muretto dell’ultima sosta, un vento pungente ci martella sul volto consigliandoci un miglior riparo nell’attesa che anche il resto della combricola esca dalla parete per poi raggiungere il rifugio Dibona sotto la Tofana di Rozes.
Mentre quindi attendo l’ora della cena, il mio sguardo caiano non può che fissarsi su quell’immensa e imponente muraglia da un lato sognando epiche salite, dall’altro cercando di capire se l’indomani non si possa averne un assaggio. Purtroppo, un rapido conto delle tempistiche ci lascia desistere dal tentativo: se tutto dovesse filare liscio, dovremmo infatti rientrare al rifugio per le 4 per poi sobbarcarci le 5 ore di rientro verso casa. Ma ho già pronta l’alternativa: la Maurizio Speciale è li ad attendermi così puntiamo alla sua muraglia nera e allo stupendo tiro verticale incredibilmente lavorato. Raggiungiamo l’attacco quando il sole è ancora ben lontano da fare capolino ma, nostro malgrado, altre cordate ci hanno già preceduto. Ben presto diventa chiaro che non potremo avere la fortuna di ieri: i caiani teutonici sembrano infatti intenzionati a bivaccare su ogni presa mentre salgono con una lentezza disarmante col risultato che ci costringono a fare i bastoncini Findus per un’ora e mezza abbondante. Quando finalmente arriva il nostro turno, sono intorpidito e irrigidito dal freddo ma già sulla prima lunghezza il sangue si rimette in circolo. Poi arriva la sospirata muraglia nera, un capolavoro inaspettato della natura, una lunghezza che da sola vale tutta la salita. La sequenza di grossi buchi e clessidre si sussegue come se un intagliatore si fosse divertito a sforacchiare la parete maniacalmente. La verticalità e l’esposizione poi aggiungono quel tocco tipico dell’ambiente crollonitico. Peccato solo che il tiro abbia una fine e i restanti siano meno entusiasmanti. Comunque, a parte quest’opera d’arte, la mie memoria fatica parecchio a districarsi tra le nubi del passato così che le lunghezze seguenti sono quasi delle novità che non mi permettono di aiutare l’Albertino ad individuare la giusta linea di salita. Poi, una volta raggiunta la cengia da cui ero uscito la prima volta, anche per il sottoscritto inizia l’ignoto che ci conduce ai due tiri finali, forse tra i più delicati dell’intera salita. Superiamo così il traverso della penultima lunghezza su una roccia estremamente compatta e tagliata da una provvidenziale spaccatura che ci permette di muoverci lungo quel mare calcareo per poi arrivare sotto lo strapiombino dell’ultimo tiro. La bestia, dalle tipiche fattezze dei monti pallidi, si materializza come un brigante in agguato ma, a questo punto, dobbiamo evitare ad ogni costo di farci derubare. Fortuna vuole che, come spesso capita davanti a chi sbraita e urla, l’apparente scontrosità crolla come un castello di carta: mi bastano infatti un paio di sbracciate con annessa scenica tallonata per risolvere in perfetto stile FF lo strapiombo. La via è sotto i nostri piedi ma ora dobbiamo trovare e soprattutto superare il percorso di discesa che alla fine ci riporta al resto del gruppo poco prima delle 5. Morale? Se da un lato ho chiuso un conto aperto, dall’altro mi prudono le mani ripesando a quella pinna di squalo della Tofana!
Cavallo Goloso
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