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VIA DI MARCO – BASTIONATA

sabato 28 ottobre ‘17


A volte le trame del destino hanno disegni imperscrutabili: se settimana scorsa non avessi casualmente trovato Cippi e Umberto, non sarei mai andato a fare la Raffaella e, di conseguenza, non avrei sentito il canto celestiale di quella linea elegante ma mai considerata. Lasciare lì un simile ben di Dio sarebbe stato un peccato enorme e così, spinto dal desiderio di riascoltare quelle note, mi ritrovo con Daniele a risalire per l’ennesima volta la Direttissima questa volta con i basti straripanti di ferraglia tra cui una nutrita dose di chiodi che tornerà utile come una fornitura di frigoriferi al polo. Da muli testardi risaliamo rapidi le catene e le scale del caminetto Pagani sfruttando gli evoluti zoccoli opponibili e finalmente arriviamo alla fiera rionale dove iniziamo ad allestire il nostro mercatino delle pulci. Sparpagliata ferraglia ad ingombrare il più possibile il bordo del sentiero, non possiamo che destare un certo malcelato interesse in alcuni escursionisti che si intrattengono ad osservare la nostra trasformazione in alberi di Natale. Raggiunto così un peso che nemmeno dopo le feste di dicembre potrei sognarmi di sfiorare, inizio allora a muovermi lungo la linea di salita prescelta ricordandomi che in fondo il grande Cassin ha salito la Walker con in mano una cartolina! Visto poi che questo sembra essere l’anno del Caianesimo Extreme, destreggio le “elevate” difficoltà e l’ignoto senza grossi patemi finchè, sul muretto finale, inizio a sentire l’impellente bisogno di piazzare una qualche protezione visto che l’ultima mi fa l’occhiolino qualche metro sotto le scarpe. Così inizio a destreggiarmi con l’arte del piantare chiodi riuscendo però solo ad utilizzarli come piedi di porco fino a liberare lo spazio sufficiente per lo 0.75. A quel punto la strada per la sosta è spianata mentre il destino mi sta per servire un’amara sorpresa. Due subdoli e arcigni cordini, logori e spelacchiati come avessero combattuto una dura battaglia, mi sorridono beffardi mentre allestisco il punto di fermata: escluso che la roccia si sia imbellettata con un paio di vecchi cordini sfilacciati e scoloriti, con deduzione degna di Sherlock Holmes, intuisco che qualcuno debba aver già messo piede da queste parti ma, al contempo, deve aver subito la schiacciante severità della parete ed essersi poi calato lasciando i due relitti a vegliarne la discesa. Così noi ce ne infischiamo e continuiamo a salire verso l’alto, l’unico posto a cui il caiano può ambire. Le corde filano regolari e ben presto il Denny sparisce dal mio schermo radar finchè finalmente sento l’urlo liberatorio: sosta! Poi, quando lo raggiungo di nuovo, non mi ci vuole molto a scoprire ciò che lui aveva già subodorato: la parte succosa della salita si trova sulla struttura a sinistra, difesa dallo scorbutico canale che ci siamo ostinati a voler aggirare. Immediatamente mi sento ringiovanito di vent’anni, ancora alle prese con tempere e pennelli mentre imbratto un disegno già di per sé simile ad uno scarabocchio che poi la professoressa avrebbe ostinatamente chiamato “tavola”. Forse si riferiva alla tavola del water ma, a 12 anni, non ho mai colto la sottile ironia. Ad ogni modo, non mi resta che iniziare a plasmare il monumento all’inutilità e illogicità: una lunghezza su cengia in discesa! Insomma, fino ad adesso il coro angelico sentito la settimana prima ha preso qualche sonora steccata ma sono certo che tra poco ci sarà un cambio netto di registro. In effetti, sopra il canale il Denny riprende a scalare: il direttore sembra finalmente aver preso le redini dell’orchestra: la roccia si fa infatti compatta e quasi perfetta finchè a stonare ci pensa un vecchio chiodo arrugginito! Probabilmente si tratta di un tiro della parte bassa della Raffaella solo che, mentre questa piega a destra verso un ripiano ghiaioso, noi proseguiamo nel cuore dello sperone salendo nella direzione opposta. Il nostro ibrido inizia così a prendere forma e, alla base della lunghezza seguente, abbiamo in mano le carte giuste per vincere la partita: starà solo a noi giocarle nel migliore dei modi. Mi alzo dalla sosta e inizio così ad addentrarmi in questa specie di Cappella Sistina. Fatico non poco a piazzare una protezione prima di superare la prima pancia e poi, mentre le prese sembrano spuntare come funghi, supero la protuberanza. Quindi è una sequenza di buchi, fessurine e spaccature ideali per le protezioni veloci: ancora una volta sto assistendo al miracolo della Grignetta, roccia compatta ma al contempo articolata e generosa e, quel che è ancora meglio, probabilmente sono il primo a vederlo quassù! Il canto celestiale dei caiani si diffonde per la montagna quando sfioro appena un sasso e quello si catapulta verso il basso. Faccio in tempo a urlare per poi guardare sotto ciò che non possiamo evitare. Tutto è appeso ad un sottile filo mentre il tempo sembra rallentare maledettamente e il masso accelerare sempre di più verso la sosta. Lo spazio tra me e lui si dilata mentre rimpicciolisce verso il suo bersaglio finchè la mannaia termina la sua caduta sulle corde. L’incidente mi lascia in una specie di limbo in cui emozioni discordanti collidono: mi sento svuotato ma anche sotto carica visto che l’ondata è passata apparentemente senza danni e la vetta è vicina, così riprendo a salire per i pochi metri che mancano a raggiungere il filo dello spigolo e la sosta. Non recupero molto le corde, forse una quarantina di metri perchè poi il Denny mi intima l’alt: il resto dei cordoni è stato completamente divelto dal violento urto. La vecchia parca ha tagliato il filo ma la dea accecata le ha guidato la mano, un connubio di elementi che sarebbe potuto essere esplosivo ma che ci regala solo il grosso dilemma di trovare un nome alla nuova nata!


Aggiornamento del 12 novembre '17

A seguito di confronto con Ivo Ferrari, è emerso che la linea da noi seguita di fatto riprende (probabilmente non in toto ma per gran parte) la via “di Marco” aperta da A. Riva nel 1985 la cui relazione riportata sulla guida del CAI (edizione 1998) in realtà non sembra coincidere con quanto da noi trovato. In ogni caso, lo stesso Ivo era già salito su questa porzione di parete insieme a Marco Anghileri considerando la salita una ripetizione della via dell'85. Mi pare quindi doveroso e corretto allinearmi a tale posizione restituendo il nome e la paternità alla linea.

Ho però lasciato il racconto nella sua veste originale così da mantenere vive le emozioni di una presunta prima salita.


Cavallo Goloso


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