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TALDO NUSDEO – PICCO LUIGI AMEDEO

mercoledì 12 agosto '09


Nuovamente io, Cece e Colo. Per il mio alpinismo, questo trio è diventato oramai sinonimo di salite impegnative, esigenti ma di sicura soddisfazione. Questa volta siamo determinati a uscire dall'ardita linea della Taldo Nusdeo che supera il pinnacolo granitico che si leva sopra le nostre teste: sappiamo come raggiungere il famigerato naso, come superarlo e conosciamo anche il tiro successivo, al cui termine si è arenato il tentativo dell'estate passata. Da quel punto, per noi, c'è solo terreno vergine.


E' ancora Cece a prendere il capo della cordata; nel frattempo ci ha raggiunti una guida con una ragazza con i quali arrampicheremo tutto il giorno. Dalle scarne informazioni ricevute all'Allievi, ci aspettavamo e temevamo una folla d'alpinisti all'attacco della via, mentre realtà è ben diversa: in Val Torrone regna il silenzio più assoluto mentre l'anfiteatro, ancora avvolto nella fresca penombra del mattino, ci appare desolatamente vuoto. Superiamo rapidamente le prime due lunghezze del traverso trovandoci così sotto l'inquietante naso da cui cola un'evidente striscia d'acqua. Cece si alza con circospezione, raggiunge la fessura sotto lo strapiombo e inizia la faticosa traversata; finalmente agguantata la lama d'uscita da cui facilmente perviene alla sosta. E' il nostro turno: con la corda dall'alto risulta facile superare il primo tratto, ma poi bisogna attraversare. Comincio a spostarmi afferrando e tirando i friend incastrati nella spaccatura fino a raggiungere l'ultima protezione. Da questa penzola un cordino che mi esce dal moschettone: mi ritrovo sulla verticale del friend, ma non riesco a raggiungerlo e per di più la roccia non offre alcuna asperità. Dopo alcuni tentativi riesco finalmente ad agguantare il moschettone e quindi a risalire alla sosta.

Superiamo la lunghezza seguente ritrovandoci al punto più alto raggiunto nel primo tentativo: le mie condizioni sono decisamente migliori rispetto la volta precedente, le braccia non sono affaticate nonostante l'arrampicata fisica e sostenuta. Dopo una consultazione poco democratica (non sono ancora in sosta quando viene presa la decisione), i miei due amici decidono di cedermi la conduzione. Legatomi la corda di Colo, riprendo la salita. Dopo un facile tratto iniziale, mi si para d'innanzi un camino leggermente strapiombante. Mi fermo a studiare il da farsi e, dopo attenta analisi, risalgo la struttura strisciando come un verme al suo interno. I piedi e la schiena fanno opposizione e, lentamente, guadagno l'uscita del camino da cui raggiungo la sosta.

Il tiro seguente è più semplice, ma riesce comunque a crearmi grosse difficoltà: raggiunto un tratto strapiombante, mi sposto per fessura verso destra andandomi ad arenare in una zona troppo difficile. Ritorno sui miei passi, convinto di dover passare a sinistra, ma dal basso mi giunge la voce della guida che mi dice che la via va a destra. E allora rieccomi nello stesso punto da cui ero appena ritonato: sono scoraggiato, da lì non riesco a passare e ho voglia di ritornare al sicuro della sosta e lasciare agli altri tutte le incombenze. Riprovo allora da sinistra e, incastrandomi nel diedro camino, riesco a superare il passo abbastanza agilmente. Maledicendo l'informazione erronea, cerco di recuperare il tempo perso salendo il più possibile fino ad arrivare ad un tiro dalla famigerata grotta. Scoprirò poco dopo che la guida intendeva dire che il tiro usciva a destra più in alto, alla fine del diedro, ma dalla mia posizione, avevo frainteso le indicazioni facendo così perdere del tempo prezioso alla cordata.

L'errore insieme all'idea che ci sia qualcuno dietro che spinge (impressione esclusivamente personale e per nulla aderente alla realtà) mi lasciano in uno stato di malessere: sono ben lontano dalle mie condizioni abituali, la testa sembra non girare nel verso giusto e salire da primo mi da una certa dose d'insicurezza. Decido tra me e me di condurre la cordata fin sopra la grotta e poi di rimettermi al traino.

Salgo i primi metri dell'antro e già inizio a sentirmi meglio: il motore inizia a carburare e mi trovo più a mio agio nel condurre l'arrampicata. Sono all'interno delle fauci che mi chiudono a tenaglia: gli incastri sono eccezionalmente efficaci e i cordini in loco aiutano nella progressione. Quando esco dalla grotta tutto gira al meglio: ho la giusta lucidità per arrampicare all'esterno della spaccatura che conduce in sosta. Insomma, è tornato il Cavallo Goloso che conoscevo!

Mi ripropongo così per condurre ancora la cordata per poi cederla definitivamente a Colo che ci avrebbe portato alle calate.

Ma la via non molla e ci impegna in ogni passaggio: nel frattempo la guida ci ha superati e noi avanziamo con un po' più di lentezza. I tiri sono sempre impegnativi ed esposti, in più inizia a farsi sentire una certa stanchezza: consultiamo spesso la relazione per capire quanto manchi alla conclusione. Le ultime lunghezze difficili sono decisamente impegnative e ringrazio di non doverle superare da capocordata: il diedro è atletico e oppone passaggi in leggero strapiombo che, sebbene addomesticati dai chiodi, propongono sempre un'arrampicata ostica. Poi finalmente raggiungiamo il traverso che ci porta alla linea di calate che danno sulla Val di Zocca.

Probabilmente preso da un'insolita stanchezza, o ancora scosso per l'errore commesso lungo il secondo tiro in cui arrampicavo da primo, oppure perchè in fondo le lunghezze più dure le ho salite da secondo non riesco a gioire per la via (che ci ha impegnati per circa 9 ore e mezza) e verso come in uno stato di apatia.


Solo con il passare del tempo, ritornando attentamente ai tiri e ai singoli passaggi, colgo la grandezza di questa salita, la terza ciliegina di questo magico mese d'agosto.


Cavallo Goloso


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