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VIA NORMALE – SIGARO DONES

sabato 22 agosto ‘15


Passo gli ultimi giorni della settimana a macchinare qualcosa per il week end fino a trovarmi con un pugno di mosche in mano e senza socio. L’idea balzana mi arriva poche ore prima della chiusura del venerdì ma poi posticipo la sveglia, impiego un tempo infinito per prepararmi e, ciliegina sulla torta, la bici è forata! Così salta tutto e io mi trovo a ripiegare per un classico avvicinamento in auto ma, d’altra parte, devo svelare il mistero: la testa è ancora imballata dopo il volo? Per tirare fuori dalla naftalina il caiano solitario che c’è in me, scelgo quindi la normale al Sigaro, via che ho salito oramai in epoca preindustriale e che per difficoltà dovrebbe essere l’ideale per capire in che condizioni mi trovo senza richiedermi sforzi esagerati. Quando quindi la Grignetta ammantata di nuvole mi si para davanti, resto basito: gli unici indumenti, una maglietta a maniche corte e un paio di pantaloncini d’arrampicata, sono tutto ciò che ho ergo, se non voglio rischiare di fare la fine del bastoncino Findus, cosa per altro piuttosto inaspettata visto periodo e località, dovrò adottare la tecnica dello stare sempre in movimento! Arrivo quindi all’attacco dopo aver probabilmente battuto tutti i record personali mentre sento le voci di alcune cordate impegnate sopra la mia testa; oltre però è impossibile capire dove siano i caiani perchè tutto è avvolto in una spirale grigia senza fine. Visto che chi si ferma è perduto, risalgo rapido le rocce che mi portano in corrispondenza del salto tra Sigaro e Magnaghi dove le mie più rosee previsioni crollano come un castello di carta; mi era sembrato (o avevo sperato) che le cordate davanti fossero impegnate sull’Albertini ma, invece, mi trovo nella stessa condizione del Titanic contro l’iceberg! Pazienza, mi metto in coda ed aspetterò il mio turno. Ben presto però, mi pare chiaro che l’attesa mi porterebbe solo a riempirmi di muschi e licheni così decido a malincuore di abbandonare il progetto e proseguire per l’Albertini. I primi metri con la corda rivelano una certa ruggine: mi devo impegnare più del previsto finchè la nuova mano di vernice è data e ora quindi non mi resta che correre verso l’alto. La corda finisce e io sono quasi fuori dal canale poi, con un’altra breve lunghezza, mi trovo al termine delle difficoltà. Nel frattempo il cervello ha macchinato le sue elucubrazioni e il risultato è la possibilità di tornare sui miei passi e salire dove avevo inizialmente previsto, d’altra parta a questo punto la via sarà pur libera. Mi calo, mi faccio stuzzicare dalla furberia e, pendolando sull’ultima calata, risolvo il problema del passaggio sul Sigaro. Non mi resta quindi che risalire alcuni metri con la sicura che arriva dal Magnaghi per raggiungere la mia sosta e il gioco è fatto; se non voglio fare però la fine di Willy il coyote, sarà il caso di non sbagliare nulla perchè, pur recuperando il lasco in eccesso, una caduta si tradurrebbe in una pendolata galattica con strusciamento e successivo sfracellamento sulla parete del torrione con conseguente spantegamento di brandelli del grande e ora non più affascinante Fraclimb per mezza Grignetta! Detto fatto, raggiungo la sosta e da qui, con un lungo tiro su roccia mitica, la cima del Sigaro. Resto piuttosto stupito nel vedere che la cordata che mi precedeva ha piantato il bivacco e sembra contenta di godersi nebbia e frescura: sarà forse invidia per i loro caldi pile? Non mi soffermo più di tanto a rimirare il panorama (grigio a destra e a sinistra) e continuo la mia piccola maratona. Visto l’esperimento positivo della doppia-pendolo, mi ripeto con qualcosa di molto simile verso lo spigolo Dorn. Un altro tiro, interrotto fortunatamente in corrispondenza di una sosta dalla corda incastrata, mi porta subito sotto una zona facile. Da qui proseguo senza assicurazione fino ad un passo delicato subito sopra la sosta successiva. Non ho voglia di ripetermi nel noioso sali scendi così rimetto in moto le rotelle del cervello; questa volta l’ingegnoso inventore tira fuori un nuovo sistema da fare testare dalla cavia, come se poi, in caso di fallimento, anche lui non si spiattellerebbe in una specie di frittata rosea! Piuttosto strano come la testa riesca a staccarsi dal resto del corpo come se costituisse un’entità distinta dal corpo ridotto ad un semplice strumento meccanico per il movimento. Comunque l’idea è molto semplice quanto (come poi si rivelerà) di difficile applicazione: praticamente ripropongo la tecnica di autocalata col gri-gri ma ribaltandola verso l’alto. Siccome però la corda non riesce ad entrare da sola nell’autobloccante, sono costretto a creare un’asola ben più lunga di quanto sarebbe necessario così da darmi la possibilità di salire per un po’ prima di ripetere l’operazione. Sostanzialmente se dovessi cadere, coprirei una distanza doppia rispetto quella che mi separa dalla sosta cui poi andrebbe aggiunto il lasco! Ho studiato tutto alla perfezione: in questo modo non prenderei il passaggio di Caronte ma, restandomene (forse) in qualche modo nel mondo dei vivi, potrei continuare a tediare i miei lettori con i miei racconti! Quindi, avendo razionalmente appurato che questa sicura di fatto non serve a nulla, mi risulta comunque sufficiente per abbindolare lo stupido cervello e continuare tranquillamente a scalare. Cosi facendo, raggiungo la cresta del Magnaghi meridionale, la seguo passando sul successivo e poi scendo alla forcella del GLASG. La nebbia avvolge tutto e, quasi solo dalle voci, capisco che qualcuno è sulla Bartesaghi. Mi sposto più a sinistra e rapidamente sono alla sosta alla base del tiro duro della Lecco. Questi metri sono come delle enigmatiche colonne d’Ercole che valico come un novello Ulisse ma con la fortuna del Cristoforo Colombo: la placca a gradini mi resta infatti sempre piuttosto indigesta e devo tirare fuori la massima concentrazione per salire senza patemi. Praticamente sono solo contro la roccia, non esiste nulla oltre a lei e anche dare una voce al mio compagno non servirebbe granchè: quello se ne sta comodamente sonnecchiando dentro lo zaino e, più che farsi scorrazzare a destra e a manca, non pensa ad altro! Ad ogni modo anche questa volta passo per poi tornare sulle mie tracce. Quando sono alla sosta, con la coda dell’occhio, vedo il secondo dell’altra cordata lasciare la sosta alla mia altezza. Prendo la mia strada, ritorno alla sosta soprastante e da qui facilmente raggiungo la croce. Ho tempo, soprattutto perchè non ho molto altro da fare così, sistemato il materiale, mi avvio verso la vetta mentre del duo sulla Bartesaghi non scorgo nemmeno l’ombra. Raggiungere la cima completamente deserta è una sensazione particolare, peccato solo che starsene qui o in mezzo alla pianura in questo momento non abbia grande differenza! Se non altro per il mio socio è la prima volta da queste parti così, dopo la foto con il modulo lunare, inizio la mia discesa. Lascio quindi la cima e contemporaneamente il mio stato di eremita superando altri escursionisti impegnati anche loro a tornare verso casa; ma la cosa che più mi sorprende è incontrare nuovamente, poco prima del boschetto, il trio del Sigaro!


Cavallo Goloso


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