LA SFERA DI CRISTALLO – SPERONE DELLA MAGIA
domenica 15 aprile ‘18
Non avrò preso l’ennesimo granchio? Dopo la stagione delle piogge, azzardare una salita in Valle potrebbe tradursi nel rafting verticale contro la corrente delle cascate che scrosciano da zolle, prati sospesi e boschetti verticali. Eppure mi sono persuaso che ci possa essere una possibilità e che, alla peggio, passeremo una giornata al Remenno. Così convinco Gughi ad assecondare le mie follie anche se credo che ben presto si farà una ragione sul mio stato mentale e inizierà gentilmente a svicolare i miei inviti; per il momento però la coppia di Aureus si è riformata: non il migliore degli auspici in quanto a condizioni del percorso!
Il primo bastone tra le ruote ce lo mette un sasso finito sulla strada che sale per san Martino costringendoci ad aggirare il tratto chiuso e facendoci arrivare in vista del monolite più grande d’Europa che sono quasi le 9 del mattino. La vista che si apre ai nostri occhi non è delle più incoraggianti: il Remenno gronda come il sottoscritto dopo la corsa e, ciò che è peggio, ho scordato a casa il set di spugne. Arriviamo a san Martino e, alla domanda se acquistare il permesso per entrare in Valle, il Gughi risponde secco: “Saliamo a piedi!”. Bravo! Perfetto stile Fraclimb: caiano e pitocco!
Le pareti pisciano incontinenti. Ci passo sotto con il naso all'insù sperando di trovare una linea scalabile ma ogni speranza fa acqua da tutte le parti. Al rifugio Mello siamo bloccati dal gestore che prova a venderci un panino con la salamella o un piatto di pizzoccheri per il nostro rientro: illuso, non sa di avere a che fare con due scozzesi! Poi ci informa che la zona sopra la Rasica dovrebbe essere asciutta. Un lampo mi balena negli occhi. Ma è solo un attimo, giusto il tempo che mi venga il mente la sua sparata sullo spit in mezzo al traverso di Polimagò: salutiamo e proseguiamo verso il nostro obiettivo.
Sotto lo Sperone mi viene da esultare: la parte alta è completamente asciutta mentre la placca di Magic Lina è appena uscita dalla doccia. Come fare? Per il momento me ne frego e inizio a cercare la traccia che ci porti all’attacco scoprendo così che il primo tiro è in condizioni mentre sopra servirebbe la canoa. Continuo con la stessa filosofia del mulo con la carota e colgo l’occasione per svegliarmi gradualmente, riabituando la testa allo spalmo dopo mesi passati a tirare prese e tacche. Il letargo sembra non avermi troppo segnato e rapidamente, senza spasmi deliranti, raggiungo la sosta. Oltre dovrei gonfiare il canotto, tirare fuori i remi e risalire la lavagna d’acqua ma, siccome siamo caiani, optiamo per risalire il canale a destra fino ad arrivare alla base della Sfera di Cristallo.
Mi guardo in giro, leggo la relazione e poi inizio a salire. La linea è logica e, sotto il muretto, ho una gradita sorpresa: il passo chiave e, altrimenti, della morte certa è protetto da uno spit. Piazzo due friend a testa in giù nell’ultima fessura e poi punto all’oggetto metallico, un rudere arrugginito probabilmente piazzato a mano una quarantina d’anni fa: meglio non soffermarsi troppo sulla sua capacità nel tenere una caduta! Intanto però mi devo fidare della scarpetta su una piccola graspolina: carico il peso, alzo il sinistro e rinvio. Salvo! Sicuro? La piastrina dello spit, simile ad una vecchia con l’osteoporosi, balla la samba. Con un rapido movimento sono oltre il tratto più verticale e poi al sicuro della sosta.
La lunghezza seguente inizia con le corde che sono incasinate come fossimo al 20° tiro, poi finalmente parto. Quando esco dall’arco entro nei cazzi amari. Come previsto una delle due corde si incastra nella fessura e io inizio a tirare una fila di TIR. Sono sul tratto chiave e non ho la minima idea del lasco che possa esserci dietro le mie chiappe: già mi vedo precipitare per decine e decine di metri e così inizio ad afferrare tutto ciò che mi capita sotto le mani e che non ha nulla a che vedere con la roccia della parete. 3 friend e un chiodo mi permettono così di raggiungere la nicchia. Sono stravolto. Questo sputo di metri mi ha prosciugato: ho strattonato la corda parancandola come se dall’altro capo ci fosse appeso un elefante e ora tutto quello che mi si presenta davanti è un misero, singolo chiodo di sosta. Sono nella merda. L’uscita a destra mi sembra un palo mentre sulla placca a sinistra bisognerebbe prima passare col tosaerba. Infilo un paio di friend maledicendo di non avere lo 0.5, li collego col chiodo, prego i santi caiani che il tutto tenga e poi recupero il Gughi.
In realtà l’uscita a destra non è nulla di che: dissolta la nebbia dell’esperienza mistica sull’uscita del secondo tiro, afferro la presa e mi tiro sul ripiano sopra la sosta. Da qui devo solo attivare il radar caiano, cercare il facile nel difficile e, alla fine, raggiungere la fine della parete.
Cavallo Goloso
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