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SESTO GRADO – CIMA ALLE COSTE

venerdì 09 dicembre ‘11


La sveglia non suona perchè non l’avevamo puntata, ma l’orologio biologico funziona perfettamente e verso le 8 apro gli occhi. Devo avere la faccia tipo quella dei neonati o di un pugile: gonfia, come tumefatta, con le valige sotto due fessure strette e lunghe sotto le quali dovrebbero esserci gli occhi. La notte è passata; ho dormito, ma mi sono svegliato qualche volta, credo per l’umidità: ho ammirato il cielo stellato e poi una massa di nuvole mi ha definitivamente accompagnato nel mondo dei sogni.

Sul sacco a pelo c’è un sottile velo brinato; esco dal bozzolo lentamente alla ricerca del piumino. Ovviamente avrei potuto scegliere un posto un po’ più pianeggiante ma ieri sera non vedevo l’ora di sprofondare tra le braccia di Morfeo.

La colazione è a base di due brioche portate da casa: sono dure, non so se per effetto della temperatura o per quale altro motivo, fatto sta che devo già attivare i muscoli della mandibola per affondare i denti nella pasta. Ovviamente Cece e Colo si sono ben rimpinzati con quanto proposto dall’alberghetto ma poi così non si tengono! Saliamo in macchina indecisi sul da farsi: Cece parla del diedro Manolo che dovrebbe essere nelle vicinanze ma, non ho ben capito il perchè, alla fine andiamo verso Arco.

Se ieri era fresco, ora circolano gli orsi polari; il cielo è lattiginoso e il sole è ancora ben nascosto dietro le montagne. Le pareti che guardano sul paese devono essere delle ghiacciaie eppure scorgiamo due cordate sulle prime lunghezze; va bene voler soffrire ma l’idea di scalare all’ombra in una giornata che, finalmente, sembra dicembrina non ci scalda gli animi e così risaliamo sulla vettura in direzione nord. Abbiamo due possibilità e alla fine optiamo per quella dal maggiore sapore caiano, quella il cui nome sembra poter rimpolpare il curriculum: Sesto Grado, il limite umano; ciò sopra cui non si può andare; il grado che possono affrontare solo gli alpinisti più forti e esperti ma solo per brevi periodi perchè è un grado che logora la mente, che ti succhia tutte le energie prosciugandoti completamente!

Lasciamo l’auto all’ombra. Il problema è analogo al Medale: al parcheggio sembri un martello pneumatico poi in parete, coperto come volessi fare una spedizione al Polo, coli sotto i raggi del sole. Colo è perplesso sull’abbigliamento: porto un pile in più oppure no? Dall’alto della fila dei miei bollini sentenzio che la temperatura non può che aumentare. Non ho poi capito se Colo ha tirato su un altro pile oppure no.

Superiamo l’avvicinamento nella metà del tempo indicato dalla guida. Ora: o dalle nostre parti il tempo e le valutazioni delle difficoltà sono ristrette rispetto Arco oppure siamo dei fenomeni. Ma siccome, personalmente, potrei esserlo solo nel mangiare dolci (si, va beh, in certe situazioni non solo dolci), forse è più probabile che chi ha compilato la guida abbia preferito largheggiare sulle valutazioni. Comunque, meglio larghe che strette!

La targhetta alla base è inequivocabile: “Sesto Grado” parte qui, solo che non vediamo spit. Forse dobbiamo alzare i nostri orizzonti; in alto si vedono due placchette e poi la sosta. La valutazione della guida sulle protezioni tira in ballo l’S2; ci può stare tra il primo e il secondo spit e, forse, tra quest’ultimo e la sosta, ma se fiondi a valle della prima rinviata potresti trivellare il terreno alla base.

Parte Colo: supera la placca iniziale e arriva alla cengia, piazza un friend e poi sale al primo spit: è salvo, e quindi raggiunge la sosta. Cece lo segue a ruota.

Fabio mi fotte a carta-forbice-sasso e parte per primo. Quando raggiungo il primo spit mi rendo conto che qui è meglio evitare di volare: magari la placchetta all’interno è sanissima ma l’aspetto esteriore è simile a quello della pelle di un vecchio marinaio.

La seconda lunghezza è forse una delle più dure. Per di più ci sono due file di spit e non è chiaro dove passi la via; probabilmente l’originale traversava a destra con passi “della morte” per poi tornare a sinistra. Insomma un zig-zagare che renderebbe le corde pesanti come se ci fosse attaccato un TIR. C’è però anche una fila di spit che sale diritta, evitando i due traversi. La linea sembra più logica e meglio protetta così Cece opta per quella soluzione. Dalla sosta sei occhi lo osservano impietriti salire lentamente e moschettonare le protezioni presenti.

Seguo Colo e raggiungo i punti critici della lunghezza. Sono protetto da un vecchio spit dell’8: certo che quando hanno forgiato la piastrina potevano anche usare un po’ più di metallo! Studio il passaggio, spalmo, cerco la tacca e, dopo un tentativo, sono fuori. Una bella sudata per essere S2.

Ma ovviamente la situazione non può che peggiorare. Man mano saliamo, il cielo si fa più grigio mentre un’aria pungente inizia a tormentare le nostre membra: fin che si scala, la temperatura è sopportabile ma le attese in sosta cominciano a diventare un tormento. D’altro canto, sono le condizioni ideali per una via dal nome tanto caiano!

L’S2 diventa sempre più S3 e forse anche S4 quando raggiungiamo l’apice sul penultimo tiro: tre spit lungo tutta la lunghezza; insomma, non proprio un “se cadi, muori” ma quasi sicuramente “se cadi, vai sulla sedia a rotelle”. Almeno le difficoltà sono un po’ più contenute, cosa che non vale per il tiro successivo caratterizzato da protezioni ancora piuttosto lunghette.

Non sono ancora in sosta che già Cece e Colo hanno iniziato le doppie cercando di abbandonare questo frigorifero. Sembra una gara dei 100m con le due cordate che si inseguono a manetta sfilando e reinfilando le corde alle soste. Quando siamo alla base, il vento ha smesso di soffiare e la temperatura si fa un po’ più mite: ci allontaniamo così dal mondo caiano per rientrare in tutta tranquillità alle comodità della modernità.


Cavallo Goloso


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