ROMANTICA – MANDREA DI LAGHEL
sabato 27 febbraio ‘10
Siamo ad Arco, simbolo dell’arrampicata e dello sport all’aria aperta; più che in Trentino mi sembra di essere in Liguria: la vegetazione bassa, la terra secca e dai colori caldi, il Garda simile ad un mare con la sua tavola d’acqua che si distende a perdita d’occhio, il borgo vecchio, il caldo sole che splende in un cielo privo di nuvole, tutto mi rimanda a Finale più che alla comune idea di Dolomiti.
Abbiamo l’imbarazzo della scelta sulla via da salire e, come quando si hanno infinite possibilità, la decisione non é per nulla facile: via lunga? Via corta? Sportiva o alpinistica? Il risultato è una quantità indefinita di fogli stampati da internet.
Alla fine optiamo per una via sportiva che sembra rispondere ai nostri desideri. Ci addentriamo per una stradina sterrata nella macchia, allontanandoci dal lago e dal paese: la natura rigogliosa, la parete colpita dai raggi del sole rimandano ad un ambiente bucolico. L’avvicinamento è praticamente nullo e così in pochi minuti ci troviamo all’attacco, mentre un’altra cordata è già impegnata nella scalata. Con estrema calma attendiamo qualche minuto prima di iniziare la salita che subito rivela il suo carattere: decido di collegare i primi due tiri,decisamente brevi. Il tratto in placca mi da qualche difficoltà: ho la sensazione che le scarpe non tengano, ma molto probabilmente si tratta solo della “sindrome da primo tiro”. Inizio ora il traverso dove la parete inizia a diventare leggermente strapiombante:dovrebbe essere il tratto più impegnativo e cerco di risolverlo a vista, ma devo cedere alle braccia in piena ghisa e tirare i rinvii. Mentre recupero Micol il mio stato d’animo è decisamente mutato:ho scalato male e inizio a pensare che forse la via è esageratamente difficile. Lasciamo passare una cordata che, con tecnica opposta alla nostra, supera molto rapidamente le maggiori difficoltà: noi vogliamo salire il più possibile in libera, assaporando il gusto della scalata e il piacere del risolvere gli enigmi posti dalla parete.
Riprendo a salire su un tiro un po’ più semplice dove ritrovo la piacevolezza dell’inizio e che mi porta alla base di un estetico diedro strapiombante che decido di collegare con il traverso sotto il tetto del tiro successivo. La scalata è fisica, ma nel contempo elegante e richiede un’infinità di movimenti alla ricerca dell’equilibrio migliore che risparmi gli arti superiori: l’orologio che corre troppo rapidamente e le difficoltà affrontate ci lasciano però desistere dal proseguire. Forse abbiamo puntato troppo in alto e quindi decidiamo di scendere con alcune rocambolesche manovre.
Solo dopo aver toccato terra, la tensione accumulata viene meno: non avremo concluso la salita, ma ne abbiamo guadagnato in esperienza, con la promessa che torneremo ancora a concludere quanto lasciato in sospeso.
Cavallo Goloso
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