RIZIERI – SIGARO DONES
lunedì 11 agosto '14
Obiettivo dell'anno raggiunto! Non posso chiedere di più da questo fantasmagorico duemilaequattordici! Sono in cima al Sigaro, salito per la Rizieri, la prima via di VI in montagna che avevo provato anni fa giusto per il gusto di esportare il limite umano dalla falesia alle alte vette. All'epoca avevo terminato la normale al Sigaro con Lorenzo (salita su cui si potrebbe scrivere un intero volume di tragicomiche peripezie caiane) per poi andare appunto a sperimentarmi con la via sulla faccia opposta del monolite. Visto che però l'obiettivo era solo saggiarmi sul mitico VI, alla seconda sosta ci eravamo calati portando a casa così una salita e mezza. Questa volta, invece, mi godo la linea dall'alto in completa solitudine mentre non posso dire altrettanto del panorama che si nasconde dietro una fitta e spessa coltre nebbiosa.
Non parto presto da casa e ho in mente un'altra zona della Grignetta: un po' per il monsone e un po' per il fatto che i miei amici di scorribande sono in giro per il mondo a godersi le ferie, mi trovo da solo a sfruttare quello che, sulla carta, dovrebbe essere uno dei mesi ideali per appiccicare bollini sulla tessera. Ma appunto la bassa pressione che sembra aver preso solo il biglietto d'andata, mi suggerisce di rivolgermi a qualcosa da cui si possa più facilmente tornare indietro. Così mi carico il saccone e inizio a galoppare su per il conosciutissimo sentiero. Quest'anno la Grignetta sta quasi diventando la mia amante; non che mi dispiaccia ma se devo fare il fedifrago, che almeno sia con qualcuna di più altisonante, che so: la Marmolada! Speriamo almeno che Micol non si ingelosisca troppo!
Alla base del torrione, la mia maglietta cola di sudore. Forse allora per simbiosi, il cielo inizia a fare precipitare alcune gocce di pioggia. Resto in piedi, immobile, completamente agghindato a vedere il da farsi: ma forse il catino era già praticamente vuoto, fatto sta che alle poche gocce segue (per mia fortuna) il nulla e, avvolto dalle nebbie, muovo quindi i miei passi verso la parete. Già il passaggio dal masso staccato al Sigaro mi lascia di che pensare: mi arrovento a cercare una soluzione finchè, scrollato ogni timore, mi decido a partire. D'altra parte la freccia va scoccata al momento giusto e, se voglio centrare il bersaglio, non posso certo permettermi di stare qui a cincischiare! La corda fila e io raggiungo la prima sosta: decide che sia una noia prevedere già la prima ridiscesa e quindi proseguo sul fatidico tiro di VI. Alla fine un rinvio lo afferro e poi salgo su alla fine della lunghezza. La corda di servizio precipita verso il basso come uno spaghetto: ne scorgo i primi metri e poi questa si va a perdere nel nulla, fagocitata dal grigio delle nuvole. Compio la noiosa tiritera del solitario e poi mi preparo per l'ultima lunghezza; un'imprevista difficile placchetta è l'ultima strenua difesa dell'obelisco: mi appendo per poi risolverla in libera prima di raggiungere la grossa croce rossa di vetta. L'idea iniziale di ripetermi su un'altra via è subito accantonata: le poche gocce cadute prima della mia partenza e l'umidità hanno intriso la parete del vicino Magnaghi e non ho alcuna intenzioni di inventarmi ballerino solitario così riprendo il giogo sulle spalle e mi avvio sulla strada di casa con la speranza che il tempo viri finalmente verso il bello.
Cavallo Goloso
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