racconto della via placca del disoccupato in antimedale (lecco, lombardia)


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PLACCA DEL DISOCCUPATO – ANTIMEDALE

sabato 11 dicembre ‘10


Affannosamente risalgo il sentiero per l’Antimedale mentre individuo Cece e Luca su una vietta a destra dei monotiri. Sono lì in tranquilla attesa che i due finiscano la loro mazzata mentre il mio unico passatempo è far girare il criceto nella mia testa quando un sibilo rompe la monotonia delle voci dei vari arrampicatori. Il suono è accompagnato dal grido “sasso!” ma, evidentemente, il neurone solitario è ancora tra quelli che son dormienti tantè che non colgo il nocciolo della questione mentre il proiettile capitombola nel roveto a pochi metri da dove mi trovo. Il pericolo scampato mi proietta sulla parete nord dell’Eiger, prodezze della suggestione del film North Face e del criceto che ora corre come un pazzo nella sua ruota. Intanto le mutande cominciano a scurirsi.

I due più in alto, nel frattempo, con la celerità di un bradipo zoppo terminano la via e iniziano la loro discesa. Non stiamo certo lì a fare da bersaglio a possibili nuove cadute e quindi decidiamo di tentare la Placca del Disoccupato. Per raggiungere il nostro obiettivo dobbiamo prima salire i 4 tiri iniziali della Chiappa brulicanti di alpinisti come la via crucis prima di Pasqua. Ovviamente con me non ho nulla per fare una via e così con l’ottima protezione offerta dal cappellino di lana e un solo moschettone a ghiera inizio la salita. Mentre Cece e Luca mi seguono a ruota all’altro capo dell’intera, salgo come una giovane gazzella fino all’esaurimento dei rinvii, raggiungendo così la sosta terminale della terza lunghezza. Un altro tiro chiuso e siamo sotto il tetto che da inizio alla nostra via. Si vedono distintamente due chiodi sotto la grossa sporgenza: il primo sembra in buone condizioni, mentre l’altro rasenta il marcio. Bene! Bello! Non riesco a trattenermi dall’offrirmi per salire quella lunghezza e così mi carico di tutti i friend a disposizione e inizio la mia avventura. Già sulla polverosa placca che porta al tetto, mi muovo con la velocità di un bradipo. Ma almeno mi muovo. Maledicendo l’idea di essermi fatto volontario, raggiungo il primo chiodo che balla e poi il secondo che è marcio. Merda! Mentre le mutande ricordano i ben momenti in cui erano ancora bianche. Appurato che i chiodi tengono, riesco a infilare un bel C3 proprio sopra il tetto, ma finchè non riesco a piazzare un’altra protezione subito sopra, sono come un gatto di marmo. Alla fine, una staffata dietro l’altra, supero il duro e inizio a scalare sfruttando delle belle fessure fino a tornare come un soprammobile di ghisa. Dopo svariati tentativi, trovo la staffata giusta che mi permette di raggiungere il cordone che penzola dal chiodo successivo. Quel pezzo di stoffa deve aver conosciuto periodi migliori quando, ancora giovane, vide Preuss salire e scendere dal Campanile Basso. Provo a tirare l’oggetto mummificato che inizia a emettere tetri brontolii e scricchiolii. Considerato che di spazio nelle mutande non ne ho più, mi decido a puntare alla vicina sicurezza dell’Altra Chiappa. Mi sento molto Hinterstroisser (e ridagli con ‘sta mania per North Face): con ottimi numeri da caiano e l’eleganza di una libellula elefantina obesa mi porto sulla via sportiva alla mia sinistra da cui raggiungo la sosta poco sopra.

Finalmente, bradipo zoppo e pure accecato nonché dall’odore poco gradevole, recupero i due mummificati assicuratori. Il resto della salita non ha storia: proseguo sull’Altra Chiappa fino ad uscire sul sentiero di discesa che ci riporta alla base della parete.

Nel frattempo Silvia, solo minimamente infastidita del nostro piccolo ritardo, è già impegnata sulle prime lunghezze della Chiappa insieme a Enrico e all’Amico di Enrico. Spinto non si sa bene da cosa, Cece risale le placche iniziali mentre io e Luca lo seguiamo a ruota. Ma i nostri destini sono diversi: mentre il nostro capocordata abbandona la sua truppa causa morosa in parete, io e Luca proseguiamo a sinistra della linea di separazione del culo. Si, insomma: saliamo il primo tiro dell’Altra Chiappa. 6a+? Mah, sarà anche solo 6a+, ma a me quel diedrino mi va un po’ di traverso e riesco a spingere la libera estrema sopra il limite umano solo grazie al fatto che salgo da secondo. E poi è il mio turno: scalare con le ciabatte (le mie scarpette devono essere le sorelle del famoso cordino) non è proprio l’ideale mentre il piede balla il Tam Tam dentro la puzzolente calzatura. Fatto stà che raggiungo la Chiappa lungo la quale decido di proseguire; strana morfologia della parete: come in un quadro di Mirò, la Chiappa destra è ora a sinistra mentre l’Altra Chiappa si scambia con la prima! Non oso immaginare la comodità dell’andare a cagare...

Magia della corda da 80, sali che ti sali, raggiungo l’uscita della via giusto in tempo per incasinarmi con un’altra cordata da tre; ma siccome al peggio non si può mettere fine, la situazione si intrica ulteriormente all’arrivo delle cordate Enrico più Amico dell’Enrico e Cece più Silvia: una bella ragnatela variopinta ingabbia così la parete mentre il sole si prepara per andare a letto illuminando il vicino Resegone.


Cavallo Goloso


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