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OPPIO – SASSO CAVALLO

sabato 05 giugno ‘10


Nonostante l’ambiente e i caldi colori del tramonto che si riflettono sulla muraglia dell’Eghen, la voglia di affrontare l’avvicinamento verso il Bietti è ridotta ai minimi termini: certo, c’è l’attesa per l’indomani, ma la passeggiata rimane comunque uno sbatti allucinante! Un passo dietro l’altro raggiungiamo finalmente la nostra meta dove, inaspettatamente, i programmi iniziano pericolosamente a scricchiolare. Non per nostra colpa, né per avverse condizioni della parete, ma a causa di due gnoccolone attendate fuori dal rifugio e della figlia del capannaro corriamo il forte rischio di mandare a monte i piani per l’indomani. Ma come prassi, l’unica corsa è quella verso la branda, non prima comunque di aver ingurgitato una tazza di tè fumante e aver carpito indispensabili informazioni dal simpatico rifugista. “E’ la via più bella che abbia mai fatto”, interessante prospettiva; “se studiate bene i passaggi, non c’è da tirare troppo di braccia!”, (per la serie “spingi sui piedi!”), sarà, ma questa informazione ci solleva qualche dubbio, soprattutto per una salita nota come la via delle 100 ore o dei 220 chiodi, con tanto artificiale e aperta in una porzione di parete decisamente strapiombante!

Ripassiamo i piani per l’indomani: facendo i debiti conti, dovremmo uscirne mercoledì; l’idea è quella di battere il record di Oppio. Ma completandola in un tempo maggiore!

Nonostante le tre sveglie puntate, non sento nulla, ma fortunatamente riusciamo ad alzarci all’orario stabilito. Appena messo fuori il naso dal Bietti, un’umida caldazza ci da il benvenuto nel mondo esterno: se non altro, i rimasugli di neve che incontreremo sul sentiero non ci costringeranno a improvvisati numeri circensi per cercare di rimanere in piedi ma, d’altro canto, il solo pensiero di quello che soffriremo in parete ci da il voltastomaco!

Con il pastone in bocca e uno stato di secchezza delle fauci già in preoccupante e precoce avanzamento, stabiliamo l’assetto di salita: pantaloncini corti, un piumino leggero in tre e circa 1,5L di liquidi; non passeremo certo bivacchi da Grand Hotel! Alle 8 siamo sotto l’attacco. Come al solito ci guardiamo in faccia mentre Cece chiede chi abbia voglia partire. “Beh, ovvio: tu!”. E iniziamo la nostra salita con vero spirito goliardico: io e Luca programmiamo i bivacchi secondo le indicazioni di Oppio, mentre Cece risale il primo tiro di Cavallo Pazzo. Scalando guardingo, il primo di cordata viene ben presto raggiunto da una voce: “unisci le prime due lunghezze, poi blocca la corda: io e Luca torniamo domani e ci tiri su! Non ha senso che ci sorbiamo anche noi uno scomodo bivacco!”.

Ci ritroviamo alla base del secondo tiro: un bel diedro giallo che taglia in diagonale i tetti. Poi, sopra, la parete è sempre al contrario. Le battute sul cognome dell’apritore non vengono palesate, ma siamo comunque concordi che tanto normale non doveva essere quando nel ‘38 decise di cercare un punto debole in quella vomitevole sequenza di strapiombi!

Iniziamo il primo di innumerevoli cambi di capo-cordata: alla fine l’autovalutazione sulla conduzione della cordata e sulle manovre oscillerà tra il 2 e il 2 e mezzo. Spingo sui piedi e raggiungo il passo chiave. Tiro il primo chiodo della giornata (poi non starò più a contarli perché, finite le dita delle mani e dei piedi a metà della terza lunghezza, non ho più altro modo per tenere il conto), smaialata di braccia (ma ovviamente devo aver cannato qualcosa visto che la via non dovrebbe essere fisica) e sono fuori. La situazione si ripete anche per i tiri seguenti dove io e Cece ci alterniamo nella conduzione. Le lunghezze ci escono comunque tutte a vista. Nel senso che vediamo subito i chiodi che tiriamo con perfetta perizia. Nonostante l’impegno profuso, proprio non riusciamo a rispettare la tabella di marcia: siamo maledettamente in anticipo sui tempi e ben presto superiamo anche l’ultimo bivacco Oppio. Nel frattempo il sole, avuta pietà per tre imbecilli incollati sulla parete, decide di negarsi alla vista risparmiando così di trasformarci in carne da brodo.

Il già dirompente stato euforico non può quindi che amplificare ulteriormente la sua portata inducendoci ad aprire una sessione d’esame per Luca. L’FF della cordata, spinto dai due caiani, è infatti caldamente invitato a condurre sui primi tiri erbosi della via. Ovviamente erba è anche sinonimo di roccia meno compatta e Luca ha quindi l’opportunità di laurearsi anche su questo terreno.

Spingendo sui piedi, lanciando ai chiodi, afferrando le sfuggenti zolle erbose continuiamo la nostra progressione verso l’alto; qualche volta ci concediamo pure il lusso di scalare su una roccia a tratti eccezionale, anche se risulta difficile passare dalla progressione in artificiale alla scalata in libera.

Poi circa 9 ore o poco più dall’inizio della scalata, il prato sopra di noi smette di salire formando la dolce e arrotondata cresta della vetta, ambiente ideale per immortalarci in pose anni trenta mentre sfoderiamo il nostro colorito mozzarella.

Conclusa la scampagnata verticale, diamo quindi inizio alla discesa tra i bassi arbusti della vetta che, insieme al ritorno della caldazza, ci inducono a mistiche esperienze: sentiamo lo sciabordio del mare, mentre ci avviciniamo sempre più alla distesa d’acqua salata. Solo il ritorno alla bocchetta di val Cassina ci desta dal nostro stato di trasporto mentre siamo gettati nella cruda realtà dell’infinito rientro verso il Cainallo.


Cavallo Goloso


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