MOTORHEAD – ELDORADO
sabato 15 luglio ‘17
Se settimana scorsa mi era sembrato di arrivare all’ultimo, questa volta solo venerdì mattina, dopo aver sentito tutta la rubrica telefonica, trovo finalmente Marco: mi sono fissato con Motorhead, forse solo perchè sulla carta sembra un obiettivo salibile in giornata da Como, così mi trovo aggregato ad un gruppo di WhatsApp che sembra andare d’accordo con l’organizzazione come il sottoscritto con un week end a Rimini! Praticamente vengo sommerso da una valanga di messaggi sulla pianificazione e annessi arzigogolamenti vari per toccare l’apice quando, arrivati ad un’apparente quadra sul fatto che useremo la mia auto caricandola all’inverosimile e dopo aver fatto nuovamente presente che la sera dovrò rientrare in Italia, Lorenzo se ne esce con un “Ah! Ma questo è un problema!”. Beh, evidentemente non sono l’unico ad avere una RAM da Commodor 64! Alla fine, senza che riesca a capire come, salta fuori un’altra auto che alla mattina si presenta carica come un automezzo della traslochi Ballerini! Col forte dubbio che domenica Marco riuscirà a salire sulla famigliare, iniziamo la prima breve rassegna di perdita di tempo: la colazione prima di varcare il confine elvetico. Poco male: abbiamo tutta la giornata, solo che al momento non sappiamo che questa breve sosta sarà solo l’antesignana di quelle infinite che dovremo fare al termine di ogni tiro. Poi la seconda causa nel dissipare minuti preziosi è la folle concezione dei limiti svizzeri che costringono a continui cambi di velocità pena la sedia elettrica. Alla fine arriviamo indenni ai piedi del Gottardo dove ad accoglierci troviamo un ammasso di nuvole simpatico come un rivenditore porta a porta di enciclopedie; l’unica speranza (o per lo meno così provo a convincermi) sta nel fatto che dovremo valicare altri due valichi prima di lasciare l’auto. Infatti al Furka siamo avvolti nella nebbia e, superato il Grimsel, il comitato d’accoglienza prevede anche la presenza di Eolo! Inizio a capire perchè nessuno era disposto a muoversi solo sabato! Ci imbacucchiamo per benino e puntiamo quindi a raggiungere il capo opposto del lago dove sembrerebbe splendere il sole. In effetti, dopo una scarpinata lungo un sentiero che, a discapito del fatto corra di fianco ad una massa d’acqua, deve avere una qualche predilezione per le montagne russe, arriviamo finalmente sotto la massa granitica dell’Eldorado, una specie di pepita solcata da placche e fessure. All’attacco, la situazione appare complicata fin dall’inizio: praticamente è come trovarsi in gastronomia la vigilia di Natale a poche ore dalla chiusura dietro una marea di persone che, chissà come mai, sembrano tutte intenzionate ad acquistare lo stesso prodotto che si ha sulla lista. La coppia che ci precede è tutt’altro che veloce ma, a sua volta, è rallentata da altri due ragazzi che, da parte loro, devono aspettare le manovre di chi sta davanti. Non ho idea se la catena di sant’Antonio continui con altri anelli verso l’infinito e, considerando che è oramai mezzogiorno, valutiamo l’ipotesi di spostarci su un’altra via per poi fossilizzarci su Motorhead sperando di non dover bivaccare in parete. Abbiamo però tutto il tempo per studiare le chiappe un po’ cresciute della francese che abbiamo davanti e soprattutto i suoi fuseaux a fiori per poi sparare sentenze lapidarie sulle sue doti da placchista e quindi finire anche noi ad impantanarci sul passo d’aderenza del secondo tiro! Poi iniziamo a discutere sulla possibilità di tentare il sorpasso ma alla fine, l’unica cordata a fare il Gilles Villeneuve è composta da madre e figlio che si divertono a passarci sopra la testa come se nulla fosse. Per il resto la via scorre relativamente bene se non che al settimo tiro mi ricordo cosa significhi spruzzare le mutande. Fin lì tutto è andato liscio (a parte le partite a scacchi giocate in sosta): la roccia è spettacolare e la via meno impegnativa di quanto temessi tanto che mi domando perchè diavolo non sia mai venuto prima da queste parti. Poi arriva la volta di quella lunghezza. Inizio ad allontanarmi dalla sosta inizialmente afferrando una bella fessura mentre cerco di impratichirmi nell’incastro di piede. Tutto sembra filare liscio fin quando arrivo ad uno spit: perchè diavolo avranno forato la roccia? Non mi ci vuole però molto a capirne il motivo e, soprattutto, a lodare quel cilindretto a espansione. Subito sopra la fessura diventa svasa, incapace di accogliere qualsiasi ammennicolo si cerchi di sparare dentro. Comincio quindi ad annaspare mentre in basso mi pare che il mio assicuratore sia più intento all’intrattenimento piuttosto che a partecipare al dramma che si sta svolgendo poco sopra. Mi affido allora ad una qualche asperità della placca a sinistra mentre le mani continuano a infilarsi nel sacchetto della magnesite con un gesto che probabilmente ha più una valenza rituale piuttosto che un’effettiva utilità. Lentamente e pateticamente riesco comunque a issare le chiappe qualche centimetro più in alto finchè la fessura mi regala uno spazio di magnanimità che penso immediatamente a colmare con un friendino di dubbia tenuta. Poco più in alto è la volta del gemello ma intanto mi levo dagli impicci avvicinandomi alla vicina sosta dove però devo attendere che lo spurgo liberi l’ennesimo intasamento. Poco male: mi trovo avvinghiato ad una bella lama, questa volta con un solido 0,75 a salvarmi da un improbabile caduta mentre immediatamente camuffo l’appena terminato momento di terrore, con i panni dell’arrampicatore tranquillo e pienamente in controllo della situazione.
Due lunghezze dopo, i francesi abbandonano la partita. Sono quasi dell’idea di imitarli ma, effettivamente, potrebbe essere più rapido proseguire piuttosto che andare ad incastrarsi con le doppie. E poi sarebbe l’ennesima avventura incompiuta, solo perchè l’attesa ai caselli è durata più del previsto. Intanto però la mia pazienza è abbondantemente tracimata: l’orologio è corso troppo avanti e io devo ancora spararmi la tappa alpina per rientrare a casa. Così inserisco il turbo e, al mio turno da capocordata, me ne infischio delle corde del duo impegnato nella sua lotta e mi porto sotto l’ultima lunghezza problematica. Solo che questa volta sarà un problema di Marco vincere la manciata di metri lungo la fessura improteggibile mentre rimango appeso coi pop corn a godermi il dramma sopra la mia testa in attesa di raggiungere la vicina e tanto agognata vetta del nulla!
Cavallo Goloso
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