VIA DEGLI ISTRUTTORI – ANTIMEDALE
sabato 13 febbraio ‘10
Mentre salgo verso l’attacco delle vie in dolce compagnia di Micol non posso che ammirare la pala del Medale mentre mi ritornano in mente le parole del Crodaiolo: “... non è la Marmolada, non è un cazzo, ma è il Medale!”. Sarà la lunga astinenza dallo stare appesi in sosta, il dipanamento delle corde, l’attesa del compagno di salita, ma ai miei occhi, oggi, quella frase racchiude il senso di quella muraglia aggettante. Poi la mente divaga focalizzandosi su orizzonti più lontani che paiono però offuscati, indefiniti.
La scelta è caduta sulla via degli istruttori, salita già più volte, ma che conserva sempre un suo particolare fascino; ogni volta provo sensazioni nuove legate alla mera scalata, a un singolo passaggio oppure al contesto che mi circonda. Appeso ad una sosta, mi soffermo sull’operosa Lecco, lo sguardo corre verso sud lungo il corso dell’Adda e poi più in là, verso la pianura.
Mentre ne accarezzo la roccia, la mia immaginazione divaga prefigurando i passaggi salienti: il tettino all’inizio del terzo tiro, il geometrico diedro della penultima lunghezza, il delicato traverso finale. In sosta provo un senso di euforia quasi celata ma comunque viva: godo del sole, della scalata, della giornata nel suo insieme.
Micol sale con eleganza e precisione: la naturalezza dei suoi movimenti mi mette una certa invidia mentre interpreta il ruolo di ballerina nell’esecuzione delle proprie evoluzioni.
L’estetico diedro della penultima lunghezza riveste un sapore speciale: mi ricordo la prima volta che le mie mani hanno afferrato i suoi appigli, alla disperata ricerca della sosta che appare, come un’oasi nel deserto, solo all’ultimo momento, nascosta da un comodo ma minuscolo terrazzino. Oggi questo tratto non riveste più quel significato così profondo e, tanto meno, sono preso da quella sensazione di timore, propria di chi si trova sempre più lontano dalla sicurezza della sosta che, come uno scoglio in mezzo ad un mare in tempesta, si allontana sempre più scomparendo alla vista. Sul traverso assaporo gli effetti delle giornate passate in falesia: quelle piccole tacche, gli appoggi accennati hanno perso quell’aurea minacciosa che li rivestiva. Mi sento come spinto da una nuova forza in compagnia della quale esco dalla parete.
Dopo aver assaporato l'ultimo raggio di sole, poco prima che l'astro si nasconda dietro la montagna, iniziamo la calma discesa che ci riporta alla quotidiana normalità.
Cavallo Goloso
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