HO CHI MINH – PUNTA MILANO
sabato 24, domenica 25 giugno ‘23
Ho la capacità di farmi influenzare dai commenti degli altri come uno stampino. Quando mi propongo per salire Ho Chi Minh così da evitarmi l’avvicinamento alla Sfinge e portarmi a casa una salita nuova, il Marcello mi ricorda di come l’uscita del primo tiro sia una bestia nera, un piccolo passo per l’umanità ma un’enorme falcata per un uomo. Fingo di non impressionarmi ma dentro ho tutto un fuoco che divampa. Solo che non è lo spirito caiano che arde, piuttosto è la cagarella che inizia a colorarmi sulle mutande. Cerco di convincermi che, sarà duro, ma è pur sempre sotto il limite umano, che ho fatto di peggio, eppure sembra che più che buttare acqua sul fuoco, lo stia alimentando con un po’ di benzina. Provo allora a fare come lo struzzo: abbasso la testa sull’avvicinamento e mi chiudo nella mia bolla. Fuori non c’è più nulla: quello che sarà è come un lontano futuro che però si manifesterà in poco più di un’ora. Il tiro è evidente: facile rampa obliqua, diedro fessura della morte seguito da uscita su cengia erbosa con annesse visioni tra il demoniaco e il celestiale. Intanto i fantasmi di Nuovo Cinema Paradiso bussano alla porta che oppone la resistenza di una formica alla scarpa. Mi lego e parto. Provo a pensare che, in fondo, sia solo una formalità ma così è solo sulla prima rampa, quella che mi porta al diedro. Erba e cengia appoggiata: se fosse tutto così sarebbe una passeggiata ma anche una via del cavolo. Poi la parete si impenna. Mi infilo in qualche modo lungo la spaccatura non ben definita: un diedro? Una fessura? Mah: spero solo che la scarpa se ne stia al suo posto. A volte ho il dubbio che forse sia la mescola ad essere invecchiata. Solo che i dubbi non aiutano: scavano solchi e gallerie da cui ogni certezza fluisce come un fiume incontrollato. Poi da ‘sta roba indefinita devo uscire, devo traversare a sinistra, fidarmi del piede ma, soprattutto, dell’infida erba che ci sta sotto. Ci provo ma ho il terrore che la scarpa faccia come la saponetta sul lavabo bagnato e io il salame in caduta libera. Mi guardo in giro e alla fine ho la soluzione a tracolla. D’altra parte, è un corso base d’alpinismo: cosa c’è di male a fare una bella e sicura staffatina su fix? Così mi levo di torno la paturnia e, dopo un’interessante passeggiata su cengia erbosa, sono alla base della lunghezza seguente. Ma la via vuole giocarmi un altro scherzetto: ultimo tiro, ho davanti una placchetta e poi una fessurina. Dalla sosta sembra tutto incredibilmente semplice. Appunto, dalla sosta! Quando ci sono sotto e, soprattutto, sopra, la musica cambia spartito. È come essere ad un lento e poi qualcuno ti spara Battery dei Metallica a tutto volume. Non ci capisco più nulla e, ancora, rischio di bloccarmi. I fantasmi di Nuovo Cinema fanno i front men e la folla impazzisce. La questione è che rischio pure io di farlo. Cerco di scuotermi di dosso il tutto e tornare al mio tranquillo e pacifico lento: mi alzo e mi tolgo dagli impicci raggiungendo la vetta del pinnacolo.
Domenica sono ancora da queste parti. Il motivo è un po’ lo stesso: Fiorelli o Bramani alla Sfinge non mi interessano granchè; già fatte entrambe, è il caso che cerchi di mettere qualche punto sulla scheda annuale. Certo, sono striminziti ma quest’anno è così: devo cogliere ogni occasione. Fatta Ho Chi Minh non resta che lo spigolo. Questa volta dovrebbe essere una vera formalità, eppure c’è sempre qualcosa in agguato. È la maledizione della plastica: mi sto involvendo, non so nemmeno se la frequentazione giovi almeno alla falesia. Quello che è certo è che sento un po’ di puzza dallo sfintere quando c’ho troppa aria sotto le chiappe. Così sulla seconda lunghezza un breve diedrino riesce per un momento a tenermi sotto scacco. Poi mi guardo intorno, pulisco dalla polvere un po’ di curriculum e tiro fuori le castagne dal fuoco per poi calcare nuovamente il punto più alto del torrione.
Cavallo Goloso
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