CHIAPPA – ANTIMEDALE
sabato 23 marzo ‘18
Sono impaziente di piantare le becche nella neve gelata, raspare coi ramponi e tirarmi su da qualche flusso gelato. Non scalarlo, perchè non ho ancora fatto il salto di livello per poter dire di arrampicare su una cascata, ma annaspare centimetro per centimetro fino a uscire dalla colata. Così convinco il Walter a trovarci alle 5:30 al solito parcheggio con destinazione la val Lesina, sotto le pendici dell’imponente Legnone, senza sapere che il destino si divertirà a manovrare i fili della giornata caiana in un modo completamente inaspettato. Verso le 6:30 arriviamo a Delebio dove iniziamo a peregrinare tra gli stretti vicoli alla ricerca dell’imbocco per la vallata ma, quando lo raggiungiamo, un cartello perentorio arresta le nostre ambizioni di rallisti: se vogliamo evitare il salasso di una sanzione dobbiamo infatti procurarci il biglietto per l’accesso. Sembra di essere finiti in un gioco di ruolo di basso livello: ricorriamo a san Google e andiamo così alla ricerca di un bar aperto che ci fornisca il lasciapassare A38 iniziando la nostra trafila tra le case di Delebio. Il primo esercizio però è ancora chiuso, al secondo ci viene indicato un alimentare ma noi ci dirigiamo ad un altro bar di cui però l’unica traccia è l’insegna d’ingresso. Proviamo allora al negozio attraversando per l’ennesima volta il paese per scoprire che il lasciapassare A38 dovrebbe trovarsi dalla parte opposta! Mi viene voglia di fare come Asterix e chiedere il lasciapassare A39 come da circolare B65 ma ci rinuncio e mi rimetto nuovamente alla guida.
La strada si inerpica su per il versante e, a seconda del lancio dei dadi, il fondo passa da sterrato a una colata bianca di cemento finchè, dopo un doppio 1, la nostra marcia si arresta davanti ad un sottile strato di ghiaccio su cui le ruote della Punto iniziano a girare come un frullatore. Il master ci leva dagli impicci offrendoci le catene ma sono anni che non le monto: mi ricorderò come si fa? Scaviamo tra gli zaini fino a tirarle fuori dal baule e riuscire a piazzarne solo una perchè l’altra è aggrovigliata in un enigmatico garbuglio. Lanciamo un paio di volte il dado ma il nostro livello di intelligenza non ci permette di districare la matassa così, dopo aver tentato invano di salire con l’auto zoppa, ci carichiamo gli zaini e iniziamo ad arrancare. Dopo un centinaio di metri ci rendiamo conto che la macchina non avrebbe comunque potuto continuare a salire: osservo le mani ricoperte di schifezze e continuo a marciare con uno zaino che ad ogni passo sembra diventare sempre più opprimente mentre le parche se la ridono sotto i baffi. Alla fine della mulattiera termina anche la traccia battuta (chissà come mai) così iniziamo a pestare neve nella direzione in cui dovrebbero trovarsi le cascate finchè Cloto lascia cadere il velo grigio lasciandoci brancolare in un mondo adimensionale. Procediamo ancora per una manciata di minuti fino alla base dei resti di una valanga finchè, non avendo idea di cosa ci sia sopra le nostre teste, giriamo i tacchi e rientriamo alla macchina.
A questo punto le opzioni possibili sono due: tornare a casa e uccidere il pomeriggio in uno stato larvale o prendere le scarpette e massacrarsi in qualche falesia. Entrambe le opzioni però non suscitano particolare interesse e solo a Lecco sono folgorato come Paolo sulla via di Damasco. Il Caianesimo parla attraverso la mia bocca al discepolo Walter come il vate Virgilio parlò a Dante nella discesa agli inferi: “perchè non andiamo a fare la Chiappa con gli scarponi?”. Il volto del Walter si illumina, ci pensa un attimo ma poi cede alla tentazione come il sottoscritto davanti ad un vassoio di pasticcini. Così si apre un nuovo capitolo della personale storia caiana, l’ennesima follia anacronistica che ci vede in tenuta da ghiacciatori con tanto di scarponi pesanti risalire per il sentiero verso l’Antimedale diventando lo zimbello degli escursionisti che ci incrociano sulla via del rientro. Ho abbastanza chiari i punti salienti della via: lo strapiombino e il successivo diedro del secondo tiro e poi la penultima lunghezza con il suo tratto unto che pare uscito dal McDonald. Riusciremo a passare indenni?
Inizio così a scaldarmi sull’iniziale placca lavorata e su un diedrino inaspettatamente scorbutico, ideale antipasto per la successiva sezione dove provo l’efficacia dello spalmo con scarponi rigidi. Poi è il momento dello strapiombino impanato e intriso d’olio che liquido con una manciata di rapidi movimenti. Il diedro successivo mi accoglie come il padre con il figliol prodigo: d’altra parte sto tornando al Caianesimo con l’abito talare. A questo punto siamo a metà della salita e la gloria imperitura dell’idiozia caiana è sempre più vicina: ci resta solo da risolvere il tiro chiave della via.
Mi trovo così sotto il diedro aggettante, una specie di scultura nel marmo dove sono stati intagliati prese e appoggi necessari per uscire dagli impicci. Mi alzo sulla scultura fidiana sperando di non fare la fine del pattinatore neofita; stritolo un paio di prese quindi infilo un friend e poi arrivo al resinato. Il più sembra fatto: già, se fossi con le scarpette! Il traverso verso destra non è proprio una passeggiata soprattutto se il livello di forza delle braccia inizia ad assomigliare a quello del serbatoio della mia macchina. Stringo i denti, confido in un verticale, spalmo i piedi e arrivo alla radice. Da lì la strada è spianata e, con un ultimo tiro, raggiungiamo il Nirvana, l’uscita della parete. È solo a quel punto che comprendo il senso della visione: nessuna gnocca ad accoglierci ma solo la consapevolezza che tutto questo ravanare con gli scarponi già ai piedi sia servito per superare in piena sicurezza gli 8 metri di canale che ci separano dal sentiero di discesa!
Cavallo Goloso
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martedì 27 dicembre ’11
Il panettone brontola ancora nello stomaco insieme all’arrosto; la miglior soluzione per iniziare a smaltire le calorie in eccesso è andare a scalare in qualche falesia. Essendo un giorno lavorativo, scegliamo le ripide placche dell’Antimedale confidando nell’assenza di code sulla parete. In effetti troviamo solo due cordate in procinto di salire la via degli Istruttori e in tutta tranquillità proseguiamo ai monotiri.
Mentre Luca e Riccardo “ilsosiadiManolo” si sfondano su lunghezze ben più dure, Cece sale senza esitazioni su Calypso: sono perplesso, ho l’intestino in subbuglio e il fatto di non essermi scaldato su qualcosa di umano non giova al mio stato di malessere così al terzo spit mi faccio calare. Marchio il territorio e ritorno alla parete; in qualche modo porto a casa la lunghezza senza dover aprire il paracadute ma ho ancora la testa imballata. Provo quasi le stesse sensazioni di Hombre de Mar; insomma, mi sento una merda!
Anche sul tiro successivo sono in panne: è come una polpetta di motivazioni. Voglio dire, ho il milite ignoto che riempie la mia scatola cranica: sarà il fatto che non mi sono scaldato, sarà che le protezioni sono chilometriche, sarà che le scarpe non sono precisissime, sarà che ho i cazzi miei fatto sta che non sono tranquillo e anche su Cacauettes me la faccio sotto pur salendo da secondo. Sono semplicemente patetico.
Vedo il sole avvicinarsi alla montagna e contemporaneamente la prospettiva di andarmene da qui ma Cece mi convince a salire la Chiappa. La corda fila e ben presto finisce mentre la sosta finale del secondo tiro è ancora lontana. Mi muovo mentre la corda continua a salire: Cece è già sulla terza lunghezza. Scaliamo in simultanea cercando di tenere la corda il più tirata possibile. I passaggi si susseguono, mentre ricordo per bene cosa mi aspetta più avanti. Dopo circa 40 minuti ritrovo il capocordata all’uscita della parete: almeno ho alleviato il malcontento della mattina con una sana caianata rendendo così un po’ più dolce l’amaro boccone da ingoiare.
Cavallo Goloso
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