CASSIN – PICCOLISSIMA
venerdì 09 – domenica 11 luglio ‘10
Quando sbuco dalla tenda, rimango affascinato dalle guglie che si slanciano davanti al mio sguardo: la sera avevamo potuto solo intravedere le silhouette delle cime sopra Misurina, ma ora le Dolomiti mostrano fieramente le loro forme aguzze. Il meglio però dovrebbe essere alle mie spalle: siamo sotto le pareti meridionali delle Tre Cime ma, quando volto lo sguardo, i miei occhi si posano su una serie di ammassi rocciosi dalle forme indefinite, quasi insignificanti!
E’ ancora presto quando, smontata la tenda, ci avviamo alla volta del rifugio Lavaredo da cui raggiungiamo la forcella. Già lo Spigolo Giallo mi aveva lasciato di stucco per la sua eleganza e arditezza, ma quando mi trovo di fronte alle imponenti e aggettanti nord della Grande e della Ovest, rimango letteralmente a bocca aperta. Lo stomaco è in subbuglio, mi sento perso, insignificante sotto quegli ammassi di roccia gialla. Ho come un moto di nausea, un senso di malessere diffuso alla vista di quella muraglia che mi incute un forte senso di timore.
Quando raggiungiamo l’attacco della Comici sono le 7:15 ma già tre cordate sono impegnate sui primi tiri. La situazione si rivela subito piuttosto critica: la cordata di testa pare evidentemente poco preparata alla salita. Da troppo tempo è impegnata sulla prima lunghezza impegnativa che, tirando un paio di chiodi, si può risolvere con una certa rapidità. Lo spettro del bivacco ci consiglia di effettuare una rapida doppia e cambiare obiettivo; così, anche per timore di rovinare l’intera giornata, non ci pensiamo su troppo e torniamo alla base.
Fugata l’indecisione iniziale, ci spostiamo verso la Cassin alla Piccolissima. Individuiamo rapidamente la partenza e ci buttiamo sulla torre al grido emblematico “Wenden”! La roccia non è certo paragonabile alle lisce e compatte placconate svizzere ma, in fin dei conti, sui tiri più impegnativi è comunque accettabile, pulita oramai dai numerosi passaggi. Considerata la brevità dell’itinerario, inizio la scalata promettendomi di salire il più possibile in libera, per lo meno sui tiri che affronto da secondo. Mi trovo così sulla prima lunghezza di VI con la corda che scende dall’alto: il passo è fisico, ma non troppo difficile e riesco a risolverlo senza usufruire dell’aiuto dei chiodi. Poi è la volta del tiro più impegnativo: sono in realtà due movimenti che, affrontati da capocordata, mi riescono al primo tentativo. Alla fine riuscirò così a concludere una bella salita on sight!
La discesa è una vera avventura: i numerosi sassi che si incontrano sul canale di discesa sembrano i proiettili di una roulette russa. Le doppie devono essere affrontate con la massima cautela e, ancora più attenzione deve essere rivolta al recupero delle corde, ma del resto anche questo aspetto fa parte del gioco.
Memori dall’esperienza del venerdì, ci ritroviamo nuovamente all’attacco della Comici poco dopo le 6. La speranza è quella di essere i primi ad affrontare la via ma, con nostro grande stupore e una buona dose di disappunto, scopriamo che già 7 o 8 cordate sono impegnate lungo la parete. Un attimo di consultazione e decidiamo di affrontare ugualmente la salita, maledicendo l’affrettata decisione del giorno prima. Ma l’attesa alla base del primo tiro impegnativo è comunque lunga: Cece alla fine desiste e ritorna al rifugio mentre io mi aggrego alla cordata di Domenico e Mario. Per la prima volta mi trovo così legato con due istruttori della Scuola di Alpinismo dell’Alta Brianza, con la quale sono venuto in Lavaredo. Mi rimetto totalmente alle decisioni dei miei nuovi compagni d’avventura con il risultato che i tiri più difficili li affronterò da secondo.
Man mano che salgo, acquisto sempre più famigliarità con quella verticale esposizione; mi guardo attorno osservando le numerose cordate impegnate su linee ben più difficili della nostra senza provare più quel senso di piccolezza del giorno prima. Anzi, ora trovo quasi gusto a trovarmi lassù, sopra le pietraie che lambiscono le pareti; l’esposizione non è poi così opprimente come poteva sembrare dal basso: qualche cengia qua e là interrompe la continuità tra me e la base sminuendo l’aspettato senso di vuoto.
Poi arriva il mio turno: sono rimasti i tiri più facili: prima un bel diedro con alcuni tratti bagnati e poi le più semplici lunghezze finali con chiodatura decisamente parsimoniosa.
Se da un lato sono comunque soddisfatto, dall’altro sento che mi manca qualcosa: ho la sensazione di essere stato condotto, di non essere stato attivo partecipante alla riuscita della salita, inoltre nelle mie intenzioni, avrei voluto scalare il più possibile in libera ma, visti i ritardi per il forte affollamento, alla fine ho dovuto cedere a tirare qualche chiodo di troppo.
La discesa è un’altra piccola avventura tra doppie e tratti in arrampicata fino a raggiungere i ghiaioni basali. Poi è solo una passeggiata su mulattiera verso il rifugio Locatelli, nostra base per questa tre giorni dolomitica.
Osservando quelle pareti da lontano, la mente inizia a vagare immaginando future cavalcate su quelle rocce strapiombanti ma poi, passando vicino ad una galleria, ritorno alla realtà. Quasi 100 anni fa queste ridenti vallate erano dilaniate dall’assurdità di una guerra che opponeva popolazioni per lo più indifferenti alla bandiera che li sovrastava. La poesia del momento sfuma mentre ripenso a quei duri momenti, alle privazioni della vita di trincea, agli assalti con la baionetta. L’accento tedesco del rifugista mi riporta al presente: quelle vecchie assurdità sono oramai svanite ma a noi, uomini del presente, rimangono i segni di quel vicino passato come monito per il futuro.
Cavallo Goloso
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