VIA FILIPPO CORRIDONI O CAMINO CASSIN – PIZZO D'EGHEN
domenica 31 luglio '11
Cosa spinge un uomo negli anni '30 a salire per un orrido budello, umido, muschioso, a tratti intasato d'erba, senza alcuna speranza di essere sfiorati da un raggio di sole e per di più su una parete nascosta e defilata? Il desiderio di passare là dove nessun uomo ha messo ancora piede; la sete di avventura; la curiosità verso ciò che è nuovo, sconosciuto. Ma cosa spinge un uomo a ripercorrere nel 2000 quello stesso tracciato, ben sapendo dove andrà a finire? Sempre e solo il caianesimo!
Basta solo pronunciare il nome Eghen che il caiano si rizza subito in piedi sull'attenti: si sente immediatamente chiamato in causa vuoi per l'avvicinamento, vuoi per l'esposizione della parete, d'altro canto ben sa che questa parete è il suo indiscusso regno. Non posso quindi tirarmi indietro al richiamo di Cece quando butta lì la sua proposta: subito sfoglio la guida, giusto per ripassare quelle pagine consunte dalla continua consultazione anche se l'obbiettivo non può che essere la classicissima Cassin.
Se già l'avvicinamento è un'avventura, l'orario di ritrovo non vuole certo essere da meno: ore 5 da Cece! Alle 6 stiamo già camminando sulla comoda mulattiera al cui termine imbocchiamo la traccia sbagliata. Andiamo bene, se iniziamo a prendere cantonate appena lasciata l'unica strada, non arriveremo mai alla parete! E invece, tornati sui nostri passi, scoviamo la traccia corretta che, salendo tra l'erba, si inoltra poi nella faggeta. Il sentiero è ben segnalato e così non facciamo fatica a raggiungere la deviazione verso la parete. Ora ci manca solo il classico "traverso della morte" per bosco ripido e su un tappeto scivolosissimo di foglie secche. Giusto per dare quel tocco in più, che mancava per completare l'avvicinamento, un piccolo gruppetto di capre, poco più avanti, si diletta a fare cadere qualche pietra. Il caianesimo gongola. Superiamo indenni e senza problema l'ostacolo mentre, come Pollicino, siamo alla ricerca del successivo ometto che, da caiani oramai troppo bravi, individuiamo senza esitazioni fino a raggiungere la base dello zoccolo. Poco più in alto un camoscio ci osserva allibito, chiedendosi cosa ci facciano due bipedi in queste lande desolate.
Iniziamo la nostra salita in conserva, io davanti e Cece dietro: sassi mobili lungo il canale, erba e soprattutto mughi sono gli ingredienti della prima parte della salita. Raggiungo una prima corda fissa grazie alla quale mi isso pesantemente superando un infido tratto verticale. Poi i mughi spariscono sostituiti dal marciume tipico di uno zoccolo e quindi raggiungo la base di una placca compatta da cui scende un'altra fissa. Mi fermo e lascio passare Cece che risale la corda alla marinaresca finchè finalmente posso seguirlo: con le scarpe d'avvicinamento non scarico praticamente nulla e sono così costretto ad una sequenza di bloccaggi monobraccio sulla corda finchè, finalmente, supero il tratto più impegnativo.
Passo di nuovo davanti alla ricerca del canale, aggiro lo spigolo ed esco dalla visuale di Cece. L'avvicinamento si sta rivelando sempre più una labirintica avventura: il percorso per arrivare fino a qui potrebbe benissimo fare sua bella mostra nel curriculum di un caiano medio ma per noi questo non è certo sufficiente! Arrivo all'ennesima corda fissa proprio alla base di un canale erboso: la via non salirà certo da qui e quindi provo a seguire brevemente la corda fino a scorgere la porzione di parete a sinistra che mi era preclusa da uno spigolo arrotondato. Non vedo nessun canale, vuoi vedere che quel matto di Cassin è salito proprio da quel prato ripido? Recupero Cece e poi vedremo. La guida è chiara: a destra ci sono gli spit di Soffiando nel Vento, a sinistra quelli di Prigionieri dei Sogni e in mezzo la Cassin; dovremo salire da quella sequenza di zolle verticali! Cece parte: tira ogni ciuffo con maestria e altrettanto abilmente appoggia i piedi sui piccoli ripiani erbosi. Sembra di essere sul Cerchio di Gesso anzi, forse, è anche peggio! Finalmente raggiunge la roccia e può indossare le scarpette: supera alcuni blocchi e arriva in sosta. E' il mio turno: ho il mio bel da fare ad arpionare l'erba lungo un tracciato che potrebbe essere un ottimo banco di prova per un dottorato in caianologia e alla fine raggiungo l'agognata sosta. E' il mio turno e già in partenza incontro grosse difficoltà non riuscendo a decifrare l'enigmatica fessura che mi si para davanti finchè, capito dove sia meglio passare, inizio la mia cavalcata. Passano solo pochi metri che un appiglio mi si sgretola in mano così, rincuorato per la qualità della roccia, proseguo la salita fino ad un'interessante nicchia umida e intasata di muschio. Con le scarpe sporche di fango mi accingo a superare la sezione d'artificiale del tiro: staffando a destra e a sinistra, come probabilmente nemmeno Cassin aveva fatto, supero l'ennesimo ostacolo approdando ad una zona più semplice. Della sosta nessuna traccia; provo quindi a proseguire per una fessura verticale ma non indovino l'incastro corretto e così mi trovo a ripiegare su una placca alla mia destra. Protetto da due C3 di dubbia affidabilità, affronto il passaggio e finalmente mi posso riposare comodamente seduto mentre recupero Cece. Sulla carta ci aspettano due lunghezze semplici ma abbiamo ancora il nostro bel da fare prima di raggiungere l'insidiosa fessura da superare con "difficile incastro". Lascio comunque ogni preoccupazione all'amico Cece che deve vedersela con un camino umido, viscido e maledettamente verticale. Gli unici segnali della sua progressione sono alcune piccole pietre che sibilano nell'aria precipitando poco lontano dal punto in cui mi trovo che, fortunatamente, risulta ben riparato; d'altro canto, Cece non fa che rispedire al mittente quello che in precedenza aveva a sua volta ricevuto e quindi, drizzando le antenne, mi accuccio dietro il bordo della parete e attendo che termini la piovuta.
Intravedo appena il capocordata che non deve trovarsi in una bella situazione, ma lui è un vero caiano e sicuramente riuscirà a passare. E infatti Cece non mi delude e alla fine lo sento urlare "sosta!". Seguo diligentemente la corda fino al punto più difficile; sfruttando i chiodi presenti e staffando senza alcuna dignità, guadagno lentamente centimetro su centimetro chiedendo impietosamente che la corda sia ben tesa. La parete è ricoperta da un sottile strato di mucillagine, le prese sono svase e umide: insomma il meglio dell'esperienza caiana! Ci mancherebbe solo una bella piovuta e poi saremmo a cavallo! Annaspando e cercando disperatamente di raggiungere la protezione successiva, finalmente esco da quell'antro che sembra l'anticamera dell'inferno: in compenso la grotta della Taldo-Nusdeo è una passeggiata!
E ora toccherebbe al sottoscritto. Non nascondo che in questo momento vorrei essere spaparanzato su una spiaggia di Rimini mentre, alla Homer Simpson, appoggio una birra sulla mia bella panza da alcolista. Peccato che nella realtà non bevo birra, non ho la panza e, soprattutto, sono infognato in un vomitevole camino. Davanti a me, in forma di massi incastrati ricoperti di muschio verdognolo, scorgo solo le fauci di un mostro mitologico pronto a divorare la preda. La guida non è certo d'aiuto: prendere la fessura sulla destra abbandonando il camino nella sua porzione più repulsiva. L'unica informazione corretta è relativa alla "porzione più repulsiva" ma, per il resto, non torna un fico secco: di fessure sulla destra nemmeno l'ombra, ce n'è solo una a sinistra superabile in artificiale ma senza nessun chiodo. Spingendo per tornare sui nostri passi, individuo una possibile via di fuga sulla destra dove scorgo la sosta di Soffiando nel Vento. A sinistra c'è invece Prigionieri dei Sogni ma la discesa per quella via sembra essere piuttosto complessa e alla fine optiamo per la prima soluzione anche se pare più impegnativa.
Mi sento un po' come Hinterstroisser (oggi proprio siamo all'apice del caianesimo): pianto un chiodo (che, a dire il vero, non ispira tanta fiducia) e inizio a traversare. Subito raggiungo una bella clessidra intasata da alcuni sassolini che scaravento a valle; la gamba inizia a ballare un ritmico tam-tam mentre infilo il cordino: devo stare calmo, devo stare calmo! Riprendo la mia traversata: un buchetto per la mano, poi un altro e finalmente mi posso proteggere con un friend. Ancora pochi passi al cardiopalma e poi finalmente raggiungo la salvezza della sosta: mi sembra di aver impiegato un'eternità ad affrontare quella manciata di metri, un passaggio nell'ignoto che ben si sposa con lo spirito della giornata all'insegna della disperata ricerca dell'avventura. Ma, dopo le prime calate, il destino beffardo, forse non pago della situazione, lascia danzare nell'aria alcune gocce solitarie: ci manca solo di prendere la pioggia per poter annoverare la salita tra le migliori imprese caiane! Fortunatamente però si tratta solo della classica nuvola di Fantozzi che ben presto svanisce dissolvendosi all'orizzonte.
Sono dispiaciuto e mi sento quasi in colpa: in fondo sono stato io a spingere per abbandonare l'orrido budello ma, d'altro canto, mi sembrava una vera pazzia proseguire per quel camino intasato da massi strapiombanti ricoperti di muschio. E solo in un secondo momento scoprirò che quella, in realtà, è stata la scelta più giusta: a causa di uno smottamento, la prosecuzione nel camino è infatti impossibile e quindi anche la via, di fatto, termina dove siamo arrivati noi. Certo, rimane la possibilità di proseguire a sinistra ma questa è un'altra storia e un'altra salita.
Cavallo Goloso
Per lasciare un commento, clicca QUI