racconto del canale pesciola meridionale al resegone (lecco, lombardia)


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CANALONE PESCIOLA MERIDIONALE – RESEGONE

sabato 07 febbraio ‘15


Caianesimo, estremismo, lavato fino alle mutande, lotta con l’alpe, stile libero nella neve: gli ingredienti ci sono tutti e la ricetta non può che risultare gustosa; finalmente la tessera tornerà a riempirsi!

Tutto inizia con la proposta di infilarsi in un qualche canale per saggiare un po’ di sana tradizione: l’idea mi stuzzica considerevolmente oltre a darmi modo di levare la polvere dalle picche. Solo l’incipit farebbe inorridire i padri fondatori ma la funivia è un lusso a cui difficilmente riesco dire di no e così prendiamo la scatola di tolla che si alza verso l’alto infilandosi sempre più nelle nebbie, unico grosso punto di domanda sulla riuscita dell’impresa. A parte poi che rischio di rompermi l’osso del collo sul viscido pavimento dell’arrivo, per il resto il viaggio non presenta problemi e così sbuchiamo fuori dalla struttura come fossimo dei Cassin davanti alle Jorasses, con la differenza che il grande vecio aveva in mano una foto della parete e, probabilmente, una buona vista sul nuovo terreno di battaglia. Noi invece sappiamo che da qualche parte, dietro le nuvole, c’è il Resegone dove, a sinistra del Comera, sale il nostro obiettivo. Per il resto, il sentiero d’accesso è una specie di cubo di Rubic. Ricordo solo che bisogna scendere lungo la mulattiera, raggiungere un crocevia e poi tentare la fortuna: tutte le volte che ho chiesto aiuto alla dea bendata, questa ha sempre guardato dall’altra parte e, anche oggi, la situazione si ripete. Prendiamo infatti il sentiero per il canalone Bobbio, forse perchè, essendo l’unico in salita, risponde pienamente alla regola principe del caiano: prima si sale, poi si scende! Qui, ovviamente, è il contrario! Cece è davanti e io dietro: il sentiero, sebbene sepolto da una ventina di centimetri di neve polverosa, è chiaramente individuabile e stimiamo di raggiungere la base del nostro obiettivo nel giro di mezz’oretta o, al massimo, un’ora. Peccato non aver fatto i conti con la piscina di polvere! All’inizio si sprofonda solo fino allo scarpone (e già la furbesca dimenticanza della ghette lascia i primi segni nell’acquario che inizia a formarsi dentro la pedula) poi, rapidamente fino a quasi il ginocchio per poi passare all’intera gamba. Mi sento come Bonatti al rientro dal Pilone: davanti a me si stende una distesa bianca e immacolata, dietro una profonda trincea spezza l’uniformità del pendio. Passiamo sotto il canalone Bobbio e continuiamo ad andare avanti; oramai è tutto perfettamente chiaro: abbiamo sbagliato percorso e, difficilmente, riusciremo a raggiungere il nostro obiettivo tanto più che abbiamo la netta sensazione di trovarci ben al di sopra dell’attacco! Avanziamo comunque senza senso e senza meta per altri preziosi minuti finchè prendiamo coscienza della situazione e decidiamo di girare i tacchi: le alternative non sembrano mancare e, ripassati nuovamente sotto il Bobbio, ci infiliamo su per il Pesciola meridionale. Il canale si addentra tra le torri inerpicandosi lungo il pendio fino all’atteso primo passo tecnico: uscita su zolle, erba e sassi ghiacciati con neve inconsistente. Annaspiamo, arranchiamo e poi passiamo oltre. Ancora polvere e poi una strozzatura ci costringe a tirare fuori la nostra abile tecnica di piccozzari: con stile impeccabile e eleganza degna di un ballerino della Scala, facciamo fuori il passo di misto e riprendiamo a nuotare nella neve. L’uscita sembra ad un tiro di schioppo, vicina come il barattolo di Nutella sulla credenza: peccato che ad allungarci e stiracchiarci arriviamo a mala pena sotto il ripiano! Poi, finalmente, la lotta ha una fine e noi sbuchiamo sull’idilliaco versante orientale ammantato di boschi; solo la via per la vetta perde tutta la poesia: neve, neve e ancora neve, intonsa, candida e immacolata. Si riprende quindi a battere e a salire: a tratti la crosta regge i nostri passi ma poi si lascia rapidamente sfondare facendoci sudare le proverbiali sette camice. Le foche intanto sguazzano nell’acquario in cui puccio i piedi. Saliamo quindi sull’ultima propaggine convinti di avere quasi raggiunto la vetta che quella finalmente fa mostra di se: peccato solo che dovremo prima scendere alla sella sottostante e poi risalire un’infinità di metri ancora rigorosamente in neve fresca! Raggiungiamo quindi la sella dove esce il canalone Bobbio e, a quel punto, decidiamo di infilarci sul suo percorso rinunciando così alla beneamata cima desiderando solo di tornare il più rapidamente possibile all’auto per porre fine al terribile e gelato pediluvio cui sto sottoponendo i piedi da oramai troppe ore.


Cavallo Goloso


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