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VIA NORMALE – MONTE FUMO

giovedì 19 luglio ‘12


Sveglia alle 4:20! Si caiana, alé! Colazione con pane, burro e zucchero, nutella, miele e volendo marmellata il tutto bagnato da abbondante tè caldo. Come? Una colazione così ricca, da affrontare seduti e non in cammino mentre non è ancora chiaro se questa sia la realtà o la propria proiezione onirica nelle vesti di protagonista di un qualche spaventoso incubo? Sono i privilegi di essere con l’AG ma poi comunque i bollini bisognarà guadagnarseli!

Tanto per mettere in chiaro le cose (visto che ha da poco iniziato ad albeggiare e la visibilità non è ancora perfetta), partiamo a razzo. Manco dovessimo vincere la maratona, ci incamminiamo dietro l’apripista che macina un passo dietro l’altro senza curarsi che, dopo i circa 8km di piano, ce ne attende 1,2 in salita o, per dirla con la tradizione, circa 1200m di dislivello. Peggio che essere in Valle!

La morena si avvicina sempre di più e con essa anche l’inizio del nostro penare. Passo in testa al piccolo drappello di 9 alpinisti e risalgo il sentiero lungo il filo del deposito finchè la traccia non devia verso destra. Da qui inizia l’avventura. Come dei Cassin del XXI secolo, anche se il paragone può sembrare un po’ azzardato, abbiamo in mano solo una cartolina con la foto della cima e le informazioni di Domenico il rifugista. Il gruppo di ragazzi ci permette comunque di muoverci con la dovuta sicurezza consapevoli che se si vuole mangiare alpinismo, un pizzico di avventura è pur sempre necessaria.

Abbiamo osservato dal basso il percorso: dovremo seguire la cresta della morena finché questa non spiana, quindi attraverseremo verso sinistra per gande per poi valicare il nostro passaggio a nord-ovest e raggiungere il ghiacciaio. Teoricamente è tutto sotto controllo ma se la placca compatta che vediamo dal fondovalle dovesse nascondere alle sue spalle un difficile passaggio, saremo costretti a rientrare con la coda tra le gambe.

Con questo pensiero, risalgo la ripidissima morena costruendo qua e là qualche ometto nonostante il percorso sia estremamente logico. Finalmente la schiena di mulo inizia ad abbattersi e alla mia sinistra si profila in lontananza un ripido canale erboso, il nostro lasciapassare per i ghiacci eterni!

La mia opera di manovale raggiunge qui il suo apice mentre erigo un ciclopico ometto (tipo piramidi di Giza) che dovrà fungere da chiaro segnale per la strada del rientro. Da qui in avanti l’opera di costruzione vedrà anche l’apporto fondamentale di Pietro che, pietra su pietra, porterà all’erezione di una miriade di piccole e grandi zigurat che costelleranno il percorso fino al ghiacciaio.

Ricevuta la conferma che il lasciapassare è valido, dobbiamo però guadagnarci l’accesso alle nevi perenni. Di sentieri o tracce di percorso non ve n’è nemmeno l’ombra e così ci troviamo a camminare tra enormi gande prima e scoscesi pendii costituiti da una miriade di sassi dopo. E poi finalmente il ghiacciaio si apre ai nostri occhi e la vetta pare sempre più vicina.

Formiamo due cordate: Paolo, Mauro, Nora e Pietro in testa; io, Andrea, Chiara, Sofia e Achille in coda. Saliamo con ritmo costante mentre in torno a noi l’unica presenza umana è data dai resti di una baracca della grande guerra che scoviamo sui 3000 metri di quota. Come fosse una divinità, la vetta finalmente si manifesta davanti ai nostri occhi: possiamo scegliere tra l’esposta cresta sulla destra oppure aggirare la parete e raggiungere il percorso della normale all’estremità opposta. Bollini ne stiamo accumulando a sufficienza pertanto pare scontato puntare alla via più semplice, così la fila si dirige verso la cresta di sinistra. Un freddo vento ci accoglie dove il ghiacciaio valica verso la vallata opposta, in corrispondenza della cima rocciosa. Fin’ora siamo saliti in maglietta ma ora un po’ di vero ambiente caiano ci riporta alla cruda realtà dei 3300m. Lo sconcerto, più che al fastidioso vento, è però legato a quello che ci aspetta: la cresta che credevamo semplice è chiusa alla base da una serie di brevi diedri che terminano in piccoli strapiombi. La prospettiva di rinunciare alla vetta mi lascia sgomento: cosa scriverò sul blog? Mi slego dalla cordata e vado a dare un occhio; a sinistra è impossibile passare: la parete sulla val di Fumo è liscia e compatta, forse ci starebbe bene una via moderna ma certamente non la normale! Passo all’estremità opposta e risalgo con la massima attenzione il diedro: il vuoto sotto le chiappe del passaggio seguente mi consiglia però di tornare indietro. Non mi resta che tentare sui due diedri a sinistra e sperare che lo strapiombino non sia poi così difficile: ovviamente il passaggio richiederebbe una bella staffata e quindi decido che da qui la normale non può passare. Riprovo ancora a dare un occhio al lato sinistro giusto per avere la conferma della precedente impressione e così, piuttosto affranto, torno verso il resto del gruppo.

La luce della speranza è rappresentata da Pietro, l’unico che sembra interessato a raggiungere la cima del monte Fumo; evidentemente gli altri non sono sufficientemente caiani! Così ci accordiamo per raggiungere la vetta della montagna: assicurato alla corda, il passo con l’aria sotto le chiappe si rivela non così difficile e rapidamente raggiungo un buon punto di sosta. Solo a quel punto anche mio papà decide di aggregarsi alla “squadra di punta”; metto in tasca lo stile alpino, tiro fuori quello himalaiano e in un attimo una solida fissa scende verso la base del diedrino. I due intrepidi mi raggiungono assicurandosi col prussik e poi dalla sosta ci involiamo verso la vetta.

La macchina non scatta. Già dal primo mattino il segnale di batteria scarica aveva iniziato a lampeggiare e ora siamo arrivati alla resa dei conti: l’altro accumulatore è rimasto sul ghiacciaio insieme allo zaino, del resto in pieno rispetto dello stile pesante, l’attacco alla vetta viene fatto senza portarsi nulla se non quanto si indossa, tanto la cima è oramai addomesticata! Così, per risparmiare qualche etto, rischiamo di restare senza alcuna foto. Non mi do per vinto e provo a scaldare la batteria; il tentativo ha fortunatamente buon esito e così riesco a catturare alcune immagini prima che l’accumulatore tiri il suo ultimo respiro proprio sul punto più alto del monte Fumo.


Cavallo Goloso


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