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LEGNONE – VALSASSINA

lunedì 01 dicembre ‘14


Everest! Everest! Probabilmente questo è uno dei sogni piü ricorrenti tra chi va in montagna mentre io sono rimasto stregato dalla mole del Legnone fin dalla prima volta che l’ho visto: sarà perchè spicca così maestoso dalle rive del lago, isolato rispetto le cime più basse che lo circondano, o perchè sulle sue pendici si passa violentemente dai boschi alle rocce e d’inverno la sua cima indossa la cuffia canuta mentre in basso i versanti si fanno spogli e scuri, oppure forse per la sua forma che non nasconde la somiglianza con il gigante himalayano, fatto sta che quello era, è e resterà sempre l’Everest.

Parto da casa con calma: il tempo non promette granchè di buono e certamente non ci sono le condizioni per scalare il gigante himalayano ma, forse, per il “mio” Everest un tentativo lo si può anche fare! Ma l’imprevisto è sempre in agguato e, giusto per aggiungere un po’ di pepe, non riesco nemmeno ad individuare il bivio per il rifugio Roccoli Lorla così, alla fine, mi trovo ad Artesso dove decido di fare partire la spedizione: se fossi al vero Everest, sarebbe come aver sbagliato vallata! Il tempo è uggioso, nebbioso e ancora gocciolante, ideale per una partita a briscola al bar! Parto quindi di buona lena, intenzionato a risolvere il prima possibile l’imprevisto intoppo e così, mentre il meteo sembra dare buone speranze e premiare l’iniziale azzardo, raggiungo rapidamente il rifugio Roccoli Lorla. Mi sento ringalluzzito e rincuorato e ben presto esco dal bosco trovandomi a cospetto con le imponenti e rocciose vestigia della base della piramide sommitale perché lassù, in alto, tutto è ammantato di un grigio ovattante. A quella quota, regna ora solo il silenzio e l’ignoto a cui spero di avvicinarmi in punta di piedi per poi aprire l’uscio ed entrare nell’Olimpo. Mi fermo solo al piccolo rifugio a poco più di 400 metri dalla croce sommitale: la neve ha fatto la sua comparsa già da alcune decine di metri e più in alto, sulla cresta, la sua presenza appare decisamente importante. Apro la porta metallica del capanno e un ambiente squallido e desolante mi si apre davanti: la sola suppellettile è una panca addossata a un angolo della stanza mentre sulla sinistra si trova un piccolo camino dai muri neri e fumosi. Ingurgito qualcosa, mi infilo le ghette e parto all’attacco: sento l’Everest in tasca ma ben presto mi renderò conto di essermi invischiato in una difficile e incerta battaglia. Quasi improvvisamente, la neve aumenta il suo spessore: mediamente affondo fino al polpaccio ma non è raro finire in qualche buco che mi risucchia e divora l’intera gamba. Il procedere in questo ambiente non è certo rapido e così inizio a maledire la pigrizia mattutina mentre la certezza di raggiungere la croce di vetta inizia a scricchiolare. Sono su un tratto di cresta completamente coperto di neve e, sulla destra, il pendio scivola verso l’abisso con una pendenza decisa. Ad un tratto un suono secco, acuto e prolungato rompe la cadenza del mio fiato: guardo la massa nevosa ai miei piedi e poi il versante opposto dell’ampio canale ma le nebbie fagocitano ogni cosa e io mi perdo nel nulla. Attendo una qualche reazione ma alla fine del crollo non ho che il segno sonoro. È il momento di maggiore indecisione: non ho alcuna intenzione di farmi trascinare a valle e finire in qualche anfratto ma al contempo la voglia di cima è ancora forte! La nebbia e l’ignoto rendono la situazione ancora più incerta ma, alla fine, decido ci procedere ancora verso l’alto.

L’unico stimolo è l’altimetro: la cima infatti resta avvolta nelle nuvole e il mio sguardo può spaziare verso l’alto solo per una ventina di metri. Poi la cresta si fa più affilata e, ad un tratto, inizia a degradare: davanti a me sembra che la montagna smetta di salire. Sento vicino l’Olimpo degli dei! Muovo gli ultimi passi, la cresta si abbatte e la croce di vetta si materializza come d’incanto: sono in cima! Sono sull’Everest! Ho impiegato un’ora e 20 per questi ultimi 450 metri ma alla fine ce l’ho fatta!

Scatto un paio di foto alla nebbia e poi giro i tacchi e mi metto a fare Pollicino con le mie stesse impronte: ho fretta di lasciarmi alle spalle la coltre nevosa perchè solo allora potrò avere la quasi matematica certezza di portarmi la cima a casa e poi l’aurea mitica di questo simbolo si affievolirà solo un poco ma la forza magnetica del “mio” Everest resterà ancora vitale!


Cavallo Goloso


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