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NORMALE – PUNTA GNIFETTI (CAPANNA MARGHERITA)

sabato 17, domenica 18 giugno ‘23


Quello che ricordo molto bene della capanna Gnifetti sono i bagni. Non ne so il motivo: non è perchè vi abbia passato tempo a profusone o perchè abbia provato esperienze mistiche, fatto sta che quella parte di rifugio mi è rimasta impressa nella memoria nonostante siano passati 23 anni. L’altra cosa che ricordo sono le cuccette a tre livelli, con l’ultimo che sembra un loculo degli appartamenti giapponesi. Sento ancora le lamentele dell’alpinista con cui condividevamo la camera “già c’è poco ossigeno, poi rintanato lassù...”, la prossima volta arrivi prima e ti accaparri il posto migliore! Ma dopo tutti questi anni il clima non è più lo stesso e forse anche l’ossigeno è aumentato. Per il resto, del rifugio non ricordo granchè: solo mi pareva che l’avvicinamento fosse già una mezza impresa ma, all’epoca, gli impianti non salivano come oggi e poi, appunto, c’era meno ossigeno. E poi c’è il colle del Lys: quello è un altro punto che all’epoca mi era sembrato infinitamente lontano, qualcosa come il colle sud all’Everest (stando almeno a certe letture epiche) oppure simile all’avvicinamento di Bonatti al Gran Capucin (ancora non mi è chiaro da dove diavolo sia partito). Poi però c’è stato il ritorno del ‘19 col corso di alpinismo quando abbiamo dormito al Mantova e così alcuni ricordi si sono rinfrescati e corretti.

Tuffo nella memoria a parte, c’è una cosa che non digerisco: posto che il caiano abbia per forza di cose uno spiccato senso del masochismo, quello che proprio non mi va giù è perchè, con la colazione fissata per le 4, ci si debba alzare alle 3:30! Preziosissimi minuti inutilmente rubati al buon Morfeo! Continuo a pisolare per qualche manciata di minuto (o almeno ci provo) prima di decidermi a lasciare il materasso e, ben prima dell’orario stabilito, sono in refettorio. Non ho molta fame. Strano. Sarà la quota. Poi penso a quello che ho ingurgitato la sera prima, al fatto che l’avvicinamento al rifugio si sia accorciato e che non ci sia più l’ossigeno di una volta e alla fine la conclusione è che sono sotto l’effetto anaconda: bello satollo per la cena, ho ancora roba nel magazzino intestinale. Così non mi allineo alle orde di Attila: ingurgito qualche biscotto, il succo e lo yogurt coi cereali in porzione super baby e poi sono pronto. Oddio un secondo giro lo farei ma ora c’è la coda come al casello dal rientro delle ferie e quindi alle 4 e 5 minuti la mia colazione termina. Poi mi tocca aspettare gli allievi con l’insoluto mistero su cosa uno di questi abbia fatto fuori dalla capanna: forse svuotato e rifatto lo zaino qualche decina di volte perchè altrimenti non si spiega l’attesa infinita che ci proietta sul ghiacciaio quando sono già passate le 5. Ulteriori decine di minuti soffiati a Morfeo: è innegabile che il caiano sia autolesionista dentro. “Mi raccomando, ditemi se vado troppo piano o troppo forte, se volete bere o mangiare qualcosa” perchè poi la locomotiva parte e non si ferma mica. Forse avrei dovuto aggiungerlo all’avviso ai due allievi. Mi domando solo una cosa: ma se dovessero dirmi che vado troppo lento, come diavolo faccio ad aumentare? Davanti abbiamo la fila indiana. Sembra quella di certe foto all’Everest ma qui, per fortuna, ci si supera senza problemi. E io, dopo un breve riscaldamento, inizio a mettere fuori la freccia. Dietro, i due salgono: superiamo una cordata dietro l’altra, non perchè abbia fretta, semplicemente perchè quello è il nostro ritmo e, poco prima del fatidico colle del Lys, davanti abbiamo solo qualche lontano lupo solitario. Appunto: l’irraggiungibile colle. Perchè ora il pendio si abbatte, crescendo ad ogni passo come fosse la pasta in lievitazione. Insomma il ricordo un pochino di verità ce l’ha comunque. Ma noi continuiamo la marcia perchè siamo qui e quello è il nostro compito. Raggiungiamo il fatidico passo e poi, più in là, la solitaria e silenziosa capanna Margherita che scruta dal suo pulpito il mare di nubi che ricopre la pianura. Poi è la volta della Zumstein: ne avrei fatto anche volentieri a meno ma, mannaggia a me, l’accenno fatto in partenza non è passato in cavalleria. Superiamo la facile crestina che, se non altro, dona un pizzico di sapore in più al nostro giro e poi ci divertiamo a inseguire le nostre tracce e tornare là dove le molecole d’ossigeno si spintonano l’una contro l’altra.


Cavallo Goloso


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