ARETE DU DIABLE – MONT BLANC DU TACUL
sabato 02 luglio ‘22
La sveglia non deve neanche suonare: sono talmente eccitato (o spaventato?) che le ultime ore di sonno le ho passate con un orecchio allerta così quando i due tizi di fianco al nostro letto si alzano, guardo l’ora; manca una manciata di minuti alle 2, è il momento. Mi sfilo dal sacco lenzuolo, sistemo in qualche modo le coperte e sono fuori. La sala da pranzo pullula di voci: mi domando dove andrà tutta sta gente mentre non ho ancora ben chiara la portata di quello che andremo a fare, so solo che mi conviene riempire la pancia perché poi in questi casi non si sa mai quando ricapiterà. Alle 3 la notte ci avvolge: prendiamo la prima traccia sul ghiacciaio ma dopo una manciata di minuti è chiaro che qualcosa sta andando storto: c’ho il solito lumicino in testa e col suo fascio non è che riesca a capire granché ma so solo che ci stiamo abbassando troppo. Chi ben inizia è a metà dell’opera e noi ci stiamo impegnando per finire nell’imbuto dello scarico. Torniamo sui nostri passi in direzione di due luci che si stanno avvicinando e finalmente troviamo la traccia nel marasma di ghiaccio. La Combe Maudit è uno dei posti più fichi ma noi non vediamo nulla, solo una serie di punti luminosi dondolanti verso la Kuffner e una coppia diretta alla nostra cresta: pare che saremo quasi da soli e la cosa non mi dispiace affatto! Poi ci infiliamo verso la fine della conca, alla base del pendio e più in alto iniziano a spuntare cordate come funghi e a quel punto mi parte la scimmia: basta mettere insieme una salita, un terreno classico da caiano con neve e sfasciumi e un manipolo da raggiungere che scatta il lato competitivo. Il risultato è che arriviamo alla cresta col sole, in un ambiente da favola e dietro le due coppie che ci precedono ma poi alla base della prima torre il pit stop è di quelli da attesa del treno fantasma. Le varie cordate devono distribuirsi lungo la Chaubert e così ho tutto il tempo per riflettere e farmi lentamente abbracciare da un senso di inquietudine e inadeguatezza. È come un lento ma costante stillicidio: alla fine il bicchiere si riempie e poi rischia di straboccare. Sarò in grado di scalare con ‘sti ferri da stiro ai piedi? Non è che finisce che il Marco dovrà parancarmi su per le creste? E per rispondere a tutte ‘ste pare mentali, mi tocca pure partire per il primo tiro. Quarto. E questo sarebbe un fottutissimo quarto?! Come cazzo faccio a spalmare una scarpa che è rigida come un pezzo di marmo sulla placca? È come voler scalare con gli scarponi su Uomini e Topi! La soluzione è solo una: faccio come il Fiorelli, tolgo la scarpa e salgo a piedi nudi. Poi mi illumino di immenso: afferro il chiodo, lo tiro e arrivo alla presa. Forse bisogna ripensare a come interpretare la scala delle difficoltà. Per il resto il tiro fila liscio e alla fine mi ritrovo in cima al primo 4 mila della giornata, pronto per la prima sequenza di doppie.
Sulla seconda torre sono nuovamente alle prese con l’arrampicata classica: rude, potente, dominata dagli incastri di piedi. Praticamente l’antitesi di quello che faccio (o penso di fare) di solito. Però me la cavo meglio di prima: le prese qui sono delle specie di sbarre e, come direbbe qualcuno, per cadere da qui dovrebbero spararti. Forse non è proprio così, però ci avviciniamo molto. L’altra novità è che fiato e cuore lavorano quasi come fossi su un boulder: scalo un po’ e mi viene l’affanno quasi come stessi correndo finchè tutto finisce quando raggiungo la sosta a metà della Mediane. Il Marco mi raggiunge e poi sparisce dietro lo spigolo diretto alla vetta: ancora un po’ di sana lotta e possiamo segnare anche questa cima.
Sulla Carmen scopro un altro livello di caianesimo: scalata su neve ghiacciata che, detta così, sembra l’impresa del secolo e passaggi di misto da M-vattelapesca. In realtà devo solo fidarmi degli scarponi su un paio di tratti su neve indurita, tirare per benino le prese e catapultarmi in sosta. Poi abbiamo l’ultima sequenza di calate dove forse mi perdo un po’ troppo a cincischiare ma alla fine siamo alla base dell’Isoleè: a quel punto però ne ho abbastanza di sali e scendi, soprattutto perchè ci manca ancora la sfacchinata in vetta al Tacul (senza considerare il rientro al rifugio) quindi la torre può anche starsene tranquilla nella sua solitudine ma il Marco non sembra della stessa idea. Risalgo un po’ di sfasciumi, arrivo alla sella e lo recupero: non so se sia l’ultima sfacchinata o il mio commento piuttosto tranciate fatto sta che l’amico pare aver cambiato idea optando per farla finita nel modo meno faticoso possibile e così finisce che la torre se ne resta isolata e noi ci incamminiamo verso la cima.
Saranno circa le 3 quando la montagna davanti a me smette di salire. Provo a fare due conti e, vittima della mia ignoranza, confido di riuscire ad agguantare l’ultima funivia. Illuso. Probabilmente nemmeno correndo riusciremmo a prendere la cabina delle 5:30 soprattutto se la discesa si rivela una specie di processione del venerdì Santo con le stazioni che da 14 diventano 140 e le litanie un disco rotto che si ripete all’infinito. Al pianoro sotto il Cosmiques siamo tentati di dirottare verso il rifugio francese ma se poi non dovessimo trovare posto? E poi l’indomani dovremmo comunque superare il deserto ghiacciato fino al Torino. Meglio togliersi il dente e prostrarsi alla fatica perchè alla fine è a quella che siamo votati, altrimenti avremmo fatto gli FF. Ci salviamo dai crepacci, evitiamo il ritorno delle tenebre e alle 8:30 varchiamo la soglia del Torino. La sala da pranzo si sta svuotando ma in compenso il rifugio sembra brulicare come un formicaio. Mi vedo già passare la notte su una panca o, peggio, nel sottoscala. Al Marco scappa da ridere così provo a sfoderare la faccia tosta che non ho e chiedo al gestore se abbia posto per due raminghi. Mi attendo una risata tra il satanico e il sarcastico e poi la barzelletta che passa di bocca in bocca invece il tipo, quasi scusandosi - Si, c’è posto al Torino vecchio... sono 228 gradini... - Mi viene voglia di rispondere - Eccheccazzomenefrega! - ma invece mi limito a sorridere a 32 denti, accettare la proposta e finalmente fiondarmi su due fette di torta.
Cavallo Goloso
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