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GHOST – VALLE OSSOLA

domenica 27 gennaio ‘19


Sono sotto la cascata con il naso all'insù. Il flusso è povero ma, soprattutto, parecchio incontinente e io non ho portato né maschera nè boccaglio. Aspetto un attimo il Marco e poi lo informo che, salire per di là, sarebbe come scalare stando sotto la mitraglia di un vecchio senza pannolone. Per di più le possibilità di proteggersi mi paiono scarse quanto la neve che evidentemente si è dimenticata di fare visita da queste parti. Oppure, in quanto femmina, ha accumulato un evidente fantasmagorico ritardo. L’amico da un occhio e poi, lapidario, sembra sminuzzare ogni mia speranza di andare da qualche altra parte: “Per proteggersi non è un problema: basta andare via veloci!”. Ho un tuffo al cuore: mi toccherà fare torrentismo al contrario e per di più d’inverno? Ma poi il Marco da un occhio all’orologio e, dopo avercele messe, toglie le castagne dal fuoco: “Non mi pare però nemmeno l’ora della doccia”. Già: anche perchè non ho mica portato la crema emolliente nè il balsamo. Così per oggi evito l’esperienza del bagno rigenerante: giriamo i tacchi e andiamo a dare un occhio alla cascata all’estrema sinistra.

È tempo che, come dicono i francesi, levi un po’ di paglia dal culo così, visto che il flusso pare sufficientemente formato, prendo le viti e parto. Ovviamente scelgo la linea del coniglio all’estrema destra anche perchè al centro la cascata assomiglia alle tende a frange in ciniglia mentre a sinistra, beh, mi ricorda l’ambientazione per il ballo dei morti viventi. Rampone, rampone, piccozza; rampone, rampone, rampone, piccozza. Mi sento relativamente tranquillo: pare proprio che stia iniziando a capirmi con quegli aggeggi infernali che mi ritrovo ai piedi. Quindi arriva il momento del Marco e lui semplicemente si mangia il tiro come io una vaschetta da mezzo chilo di gelato. Poi l’istinto caiano ha il sopravvento e, visto che il flusso prosegue lungo un facile canalino, mi sento l’obbligo di puntare verso l’alto e così mi ritrovo ad affrontare il percorso dei marines al polo con passaggio tra albero abbattuto e ghiaccio e scavallamento di un paio di tronchi prima di accettare la dura realtà e cioè che proseguire non ha molto senso.

Buttiamo le doppie e, all’ultima, abbiamo la stessa idea: sfruttare la calata per una lunga mulinette stando immediatamente a destra delle frange. Così mi ritrovo a salire su per una specie di candela sperando che questa non faccia come quella del naso e, invece che gocciolare, collassare verso il basso. “Marco ma se si rompe non è che muoio?” “Ma va! Stai solo delicato”. È la risposta che volevo, almeno per la prima parte mentre sulla seconda, cioè il fatto di essere leggiadro, ho parecchie perplessità: cercherò di fare del mio meglio ben conscio di essere l’unno del ghiaccio perchè dopo il mio passaggio non c’è più nulla! Invece la colonna non si fila minimamente la mia presenza: se ne sta lì tranquilla mentre mi impegno ad accarezzarla con i ferri con la leggerezza di una mandria di bufali. La cascata continua a rimanere impassibile, nemmeno sfiorata dalle mie violente avance tanto che riusciamo entrambi a risalirla un paio di volte col Marco addirittura a sfidarne le zanne da vecchia che penzolano proprio sotto la parete rocciosa.


Cavallo Goloso


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